Non avremo nulla. Davvero sarà meglio?

Dietro il raddoppio del prezzo delle automobili, fuori portata per molti, c’è anche una visione del mondo in cui i servizi sostituiscono la proprietà sostenuta tra gli altri dal World economic forum

Partiamo da un dato incontestabile: i prezzi delle autovetture stanno crescendo in modo vertiginoso. Uno studio realizzato da Autoscout24 ha calcolato che negli ultimi vent’anni il prezzo medio delle dieci vetture più vendute in Italia è raddoppiato, passando da 10.500 a 21.040 euro. Non lo stesso si può dire, naturalmente, per i redditi. La situazione è tale che molte famiglie, anche in ragione dei costi accessori (imposta di bollo, assicurazione, tagliando, posto macchina), sono sempre meno in condizione di permettersi quello che sta diventando un “lusso”. Già un anno fa l’Osservatorio Internazionale Findomestic aveva condotto una ricerca in 18 paesi, arrivando alla conclusione che ormai la metà dei nostri connazionali teme di non poter acquistare e mantenere un’automobile nel prossimo futuro.

Come spesso capita, all’origine di questo fenomeno vi sono molte ragione. Una è sicuramente da riconoscere nell’inflazione. Mentre i redditi restano stabili o quasi, i prezzi di tantissimi beni e servizi stanno lievitando a causa di politiche monetarie (si pensi al “quantitative easing” di Mario Draghi) che hanno moltiplicato la quantità di valuta e generato questa impennata dei listini. Oltre all’inflazione, però, ci sono altre cause.

La “dittatura" degli accessori

Una di queste è sicuramente nel fatto che ormai s’è affermato un modello di autovettura “premium”, il che significa: molto tecnologica, super accessoriata, ricca di tutta una serie di servizi che in passato non esistevano. Secondo alcuni analisti la competizione tra le case produttrici ormai si sarebbe spesso spostata dalle prestazioni tradizionali (velocità, accelerazione, ecc.) al sostegno nella guida e ai sistemi multimediali integrati che oggi offrono diverse funzionalità: dalla comunicazione all’intrattenimento. Questo contribuisce a far sì che i prezzi crescano e quello che un tempo era un bene alla portata di tutti non necessariamente lo sia oggi.

Contro gli idrocarburi

Il caro-auto non deriva comunque soltanto da scelte strategiche dei produttori e da domande provenienti dai consumatori. Un peso rilevante ha pure la regolazione, specie quando spinge verso una transizione tecnologica non indotta dal mercato (e quindi dalle decisioni dei singoli e delle famiglie), ma invece da gruppi di pressione potenti che vogliono “a qualsiasi prezzo” eliminare il ricorso agli idrocarburi, ritenuti responsabili del cambiamento climatico.

Senza entrare nel merito del dibattito scientifico e anche ignorando la voce (autorevole) di studiosi come Franco Prodi, Carlo Rubbia o Renato Angelo Ricci, è evidente che in questo come in altri casi non si deve mai assolutizzare un’esigenza. Come ha spiegato il filosofo americano Michael Huemer, non si può far gestire i problemi della distribuzione delle bevande alcoliche all’associazione delle mogli di etilisti. È evidente che il loro punto di vista è importante, ma anche molto parziale. Sarebbe come se – nel definire il bilancio pubblico – si prendessero per buone talune richieste tendenzialmente illimitate (provenienti dagli amanti della lirica oppure dai fautori della ricerca pura in fisica) senza valutare i possibili usi alternativi di quel denaro.

Va anche ricordato che aver spinto nella direzione delle auto green ha creato una carenza di microchip, e questo proprio quando tali componenti diventavano sempre più importanti. Se poi le autovetture sono più care nessuno deve sorprendersi.

Per giunta, c’è chi guarda con favore quanto avviene. L’automobile è un simbolo d’indipendenza personale e anche per questo non sempre è apprezzato. Alcuni circoli internazionali influenti (si pensi al Wef, World Economic Forum) ritengono che non sia bene che ogni famiglia abbia un’automobile e magari anche due. Nel loro modello di società nessuno avrà nulla (né casa, né automobile), ma ognuno potrà viaggiare e soggiornare grazie alla disponibilità di risorse gratuite a disposizione di tutti.

Tutto questo è stato messo nero su bianco. In un articolo apparso su “Forbes” il 10 novembre 2016, intitolato “Welcome to 2030. I own nothing, have no privacy, and life has never been better”, una figura eminente del Wef (Ida Auken) ha prefigurato una società nella quale non avremo nulla, ma riceveremo prestazioni: «ogni cosa che consideravi un prodotto, è diventata un servizio». In questo modo, come dice il titolo dell’articolo, non avremo nulla e staremo molto meglio.

Non tutto avviene per caso, insomma, perché c’è chi sta favorendo il processo in atto; e infatti siamo all’inizio di una transizione che spinge in quella direzione. In Europa, infatti, dal 2035 il passaggio all’auto elettrica sarà obbligatorio. Com’è noto, si tratta di automezzi che costano circa il 40% in più e non c’è da prestar fede a chi sostiene che presto i prezzi di queste vetture saranno uguali a quelli delle automobili a benzina o a diesel. Poiché siamo di fronte a una trasformazione tecnologica non già spontanea, ma imposta dall’alto, qui non vediamo all’opera le caratteristiche dinamiche concorrenziali che tendono a favorire e tutelare il consumatore.

Facciamocene una ragione: se non s’inverte la marcia, milioni di italiani dovranno rinunciare all’automobile, con tutto le conseguenze che questo comporterà sulla vita quotidiana, ma anche sull’assetto dei centri abitati (a quel punto, meglio vivere in città che in un piccolo comune) e sullo stesso profilo professionale, dato che talune professioni si faranno assai difficili se non addirittura impossibili.

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