Accanimento terapeutico

Sbaglierò - e anche di grosso, magari - ma secondo me 45 minuti sono un’eternità. Non lo si può stabilire con esattezza, naturalmente, visto che il tempo corre o rallenta a seconda delle circostanze (cinque minuti alla Leopolda equivalgono, credo, a sette anni di solitudine nel deserto) ma non temo smentite affermando come, nel territorio dei sentimenti, tre quarti d’ora siano una misura considerevole.

Lo dico perché non tutti la pensano così: c’è chi scrive e argomenta sulla base del presupposto contrario, sostenendo che, per innamorarsi, 45 minuti sarebbero un tempo brevissimo, addirittura irrisorio. Così almeno sembrano sostenere tutti gli articoli che presentano l’ “Experimental Generation of Interpersonal Closeness”, un questionario articolato in tre parti e 36 domande al termine del quale gli individui chiamati a rispondere, sempre in numero di due, dovrebbero avvertire d’incanto l’insorgere tra loro di una promettente intimità. Poiché il questionario lo si completa all’incirca in tre quarti d’ora, ecco nascere la sintesi giornalistica: per innamorarsi “bastano” 45 minuti.

Il questionario non è nuovissimo - risale al 1997 - ma in questi ultimi tempi ha trovato grande diffusione, forse perché ha fatto da spunto per un episodio della fortunata sit-com “The Big Bang Theory”. Il problema è che il fenomeno dell’innamoramento è ancora più vecchio e se ne ha traccia perfino nella preistoria, quando in luogo dei mazzi di rose venivano scambiati amorevoli colpi di clava sulla collottola.

Tenuto conto di questo, ribadisco la mia posizione: per innamorarsi 45 minuti mi sembrano una tediosa eternità. Infatti, se qualcosa non nasce subito - un’illuminazione o una scintilla il cui svolgersi è fuori dal tempo al punto da essere infinito - allora non val la pena insistere, non per 45 minuti, non per 40 e neppure per 5. Scusate, ma non credo nell’accanimento terapeutico.

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