Si chiede nel Corriere della Sera lo scrittore Paolo Di Stefano perché, in Italia, sia scomparsa la letteratura di satira, quella che sapeva «sferzare il potere». Cita Campanile, Zavattini, Flaiano e Longanesi. A me, vengono in mente anche le “Scorciatoie” di Saba. Dove sono questi signori? O meglio, come mai nessuno si propone per raccoglierne l’eredità? Ci sono vignettisti che fanno satira, comici che fanno satira, senza contare la satira che i politici, involontariamente, producono da sé. Ma la letteratura?
Non che io abbia una risposta, tanto meno una risposta da poter competere con la domanda, resa tanto autorevole dal talento di chi l’ha posta e dal giornale che l’ha pubblicata. Ho però una riflessione: modesta, intima e sommessa. Ho il sospetto che la letteratura di satira manchi perché incompreso e incomprensibile, oggi, è il linguaggio che la sostiene.
Rileggiamo Flaiano, rileggiamo Zavattini. Qualcuno scrive ancora così? Qualcuno, soprattutto, è in grado di mettere in rilievo con la stessa tecnica le figurine, singolari e plurime nello stesso tempo, che allora si agitavano sul palcoscenico del primo e del secondo Novecento e oggi affollano gli studi tv del XXI secolo? Si chiamava “grottesco”: Fellini lo portò al cinema con felice e personalissima intuizione.
«Una signora - racconta Flaiano nel “Diario notturno” - in visita ad un illustre critico se ne va dimenticando l’ombrello sul tavolo. “Lo recensirà.” dice F. a cui il piccolo incidente viene riferito». Nella stagione - più che epoca o era - in cui si trasferiscono le emozioni sulla pagina con faccine ridenti e variamente distorte, l’ironia di F. è semplicemente troppo sommessa o è addirittura incomprensibile?
Forse gli stessi Flaiano, Zavattini e Campanile scriverebbero, oggi, in modo diverso, trovando la chiave per far brillare comunque la loro intelligenza. C’è da chiedersi, a questo punto, dove siano finite intelligenze come le loro. Ma questo è un altro discorso.
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