Addio “business”: viviamo in un mondo “economy”

Lo sciopero del clima, che ha coinvolto tanti e tanti studenti, è stato spacciato come faccenda mondiale, - tanto è vero che ha un’etichetta doverosamente in inglese: “Fridays for future” - ma, a guardar bene, è tutta roba locale. Sarà anche un’iniziativa lanciata “dall’alto”, ma dal basso è tornata su, come la nota di uno strumento rifratta da infinite casse armoniche: le piazze d’Italia.

Non si tratta di retorica. Basta sfogliare il notiziario dell’Ansa per constatare come, regione per regione, provincia per provincia, città per città, l’appello sia stato accolto con entusiasmo e partecipazione. Scusa per saltare un giorno di scuola, dicono gli adoratori del cinismo, quelli che disprezzando pensano di stare un passo davanti agli altri; no, sincero desiderio di salvare il pianeta, rispondono gli ottimisti, che spesso per far bella figura si appropriano dei moti di generosità altrui.

Comunque sia, bisogna riconoscere che la protesta per il clima non è (più) questione che si vede in tv o si legge nel giornale: i giovani che ci guardano con aria di rimprovero sono i figli nostri e i figli dei vicini di casa.

Non basta: il guaio ambientale non è qualcosa che veleggia nella troposfera, s’abbatte sui ghiacciai e rende la vita difficile agli eschimesi. Anche quello è tra noi, sotto casa: lo troviamo nella svogliatezza con cui procediamo alla raccolta differenziata e nella disinvoltura con cui annaffiamo le petunie sprecando acqua potabile.

Ancor più vicino, il guasto è riscontrabile nella nostra incapacità di cogliere l’assurdo in ciò che leggiamo o ascoltiamo. Qualche giorno fa, per esempio, il notiziario pugliese dell’Ansa ha registrato, con una certa enfasi, l’annuncio che dal 5 aprile del 2020 sarà disponibile un volo diretto Brindisi-Lussemburgo.

L’articolo non trascura nessuna delle espressioni che le autorità esibiscono in queste circostanze, come fossero tovaglie di lino, e che i cronisti registrano con liturgica precisione: qualcuno ha sottolineato il «ruolo strategico» dello scalo di Brindisi, mentre altri hanno espresso «soddisfazione» per un collegamento diretto verso «un mercato che ha grande capacità di spesa», frutto di «una scelta ponderata», volta a soddisfare le esigenze - ci terrei a definirle insopprimibili e inderogabili - di «una certa clientela business». Questo, senza contare l’agio della «nutrita» comunità di pugliesi che vive nel Granducato, ora servita, si potrebbe dire, barba, capelli e aeroporto.

L’aviazione, ci è stato detto, è fonte di inquinamento e, pur necessaria - più che necessaria, anzi -, dovrà prima o poi essere risagomata in base alle esigenze dell’ambiente. Dovesse costare qualche seccatura alla comunità pugliese del Granducato o addirittura intaccare il «ruolo strategico» dello scalo di Brindisi.

E questo vale per tutti gli scali e per tutte le «nutrite» comunità di questo mondo. Il quale, piano piano, avrà sempre meno urgenza di soddisfare le esigenze della «clientela business». Quaggiù, ormai, viaggiamo tutti in “economy”.

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