Di poche cose sono certo. Una di queste è che voi tutti, indipendentemente dalla razza, dalla religione, del sesso e perfino dalla fede calcistica, avete vissuto fino a oggi senza sapere chi è Sachin Tendulkar. Non più, perché c’è qui il vostro affezionatissimo il quale, nelle prossime righe, provvederà a colmare la lacuna.
Sachin Tendulkar è un giocatore di cricket indiano. Per la precisione, è molto più di un giocatore di cricket: per certi versi è “il” giocatore di cricket. Certamente uno dei più forti di tutti i tempi, molto probabilmente il più forte di tutti i tempi. Gli appartengono i principali record della disciplina: inutile enumerarli qui perché ai profani del gioco non dicono nulla.
Quando, nei giorni scorsi, Sachin Tendulkar ha annunciato, a quarant’anni , l’intenzione di ritirarsi, è venuto giù il mondo. Il mondo del cricket, beninteso. Il che, tutto considerato, non è proprio poca cosa.
Ieri, dall’Inghilterra all’Australia, passando per il Pakistan, l’India e la Nuova Zelanda, i notiziari hanno subito un’impressionante rivoluzione delle “scalette”: via guerre, presidenti, autobombe, alluvioni e mercati finanziari. Dentro foto e filmati di Sachin: eccolo bimbo in braccio a mammà, nella prima tenuta da giocatore di cricket, il giorno del matrimonio, mentre spegne le candeline, accarezza il cane, coccola la nonna, vince il campionato mondiale con l’India e lava la macchina sul vialetto davanti a casa. Immagine dopo immagine tutto contribuiva a creare un castello celebrativo impressionante e, dal nostro punto di vista, surreale: come se si fosse inventato un personaggio di sana pianta e, di colpo, gli avessero assegnato un gigantesco carico emozionale. Quasi che, in una persona, si concentrasse il clamore per la scomparsa dell’attore più famoso, per il ritiro del calciatore più celebrato, per la condanna del politico più controverso.
La morale, se volete, è che il segno del mito, la stigmate della celebrità e il culto degli individui hanno molto di relativo. Ricordiamocene, la prossima volta che vorranno convincerci dell’imprescindibilità storica di un convegno del Pd.
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