Alex

Alex

Nel suo romanzo "Arancia meccanica", pubblicato nel 1962, Anthony Burgess poneva una domanda interessante ma, allo stato, del tutto teorica: se al fine di eliminare il crimine dalla faccia della terra potessimo sollevare l’uomo dal libero arbitro, sarebbe giusto farlo?

La risposta di Burgess era "no". L’uomo dipende della sua libertà (addirittura l’uomo "è" la sua libertà: privato di essa occorre chiedersi, come Primo Levi, se rimane un uomo) e la libertà, nella sua essenza, è la possibilità di scegliere.

C’era qualcosa di nobilissimo nella risposta di Burgess, fattaci recapitare dal peggior testimone possibile - il protagonista del romanzo, quell’Alex giovinastro ultraviolento - e dunque più credibile di chiunque. Addirittura, c’era qualcosa di giusto: l’umanità è un valore e per ogni valore c’è sempre un prezzo da pagare.

Era facile, virtuoso e perfino piacevole aderire alla tesi di Burgess fino a quando il dilemma morale proposto dal suo romanzo rimaneva sulla carta: la tecnica applicata per privare Alex del libero arbitrio era solo un’invenzione letteraria, ispirata alla lontana dai rozzi sistemi di lavaggio del cervello adottati da eserciti e servizi segreti.

Oggi, come ci informa un editoriale del New York Times, le cose stanno diversamente: l’eliminazione del crimine è un traguardo perseguibile con l’applicazione sistematica di  una varietà di tecniche: dall’apparecchio che tradisce il guidatore ubriaco fino alle droghe disciolte nell’acquedotto che avrebbero l’effetto di inibire comportamenti aggressivi. Diventa dunque più difficile dire "no", diventa più severo l’impegno a difendere il libero arbitrio: queste tecniche esistono, e prima o poi qualcuno vorrà applicarle. Ricordiamoci che se fino a poco tempo fa era utopia bloccare un uomo deciso a fare del male, rimane impossibile fermarlo quando è convinto di fare del bene.

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