In un articolo coltissimo e modernissimo (dev’esserlo per forza un testo dove ogni tre per due ricorre l’espressione “post-verità”), Kurt Andersen si dilunga sulle ragioni per cui «l’America ha perso la testa». Percorsa da costa a costa da orde di seguaci delle più improbabili teorie cospirative, estremizzata nelle posizioni politiche, arroccata su duri confronti razziali e infine sospettosa di ogni pur legittima fonte d’informazione, l’America di Andersen sembra in tutto e per tutto... l’Europa.
Ma no, Andersen insiste: il fenomeno è tutto americano e si spiega con la natura stessa dell’America, «un Paese fondato su una mentalità che lo ha reso eccezionale in tutta la sua storia». Secondo Andersen, l’America di oggi e solo «l’espressione finale» di questa mentalità. L’“americanità” degli americani è sfuggita al loro controllo e sta facendo danni invece di assicurare benefici, come ha fatto quando era mantenuta nei limiti. Certe caratteristiche - l’inclinazione a sognare l’impossibile, a pensare in grande e a mantenere un sano scetticismo nel confronti del governo -, se in passato hanno collaborato per fare degli Usa un grande Paese, oggi cospirano per distruggerlo.
Ma se il fenomeno è così americano, come mai lo viviamo anche noi? Come mai anche in Europa abbiamo l’impressione che ogni forma di razionalità si stia sfasciando? Due possibilità: o Andersen si sbaglia oppure, dopo tanto macinare cultura d’importazione, anche noi siamo in tutto e per tutto americani.
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