Visto che il giorno è quello adatto, 14 febbraio, scartiamo insieme il cioccolatino. Nel foglietto d’ordinanza che avvolge il gustoso bon-bon leggiamo:
«Se insisti a chiedermi il motivo per il quale lo amavo, non posso dirti altro che era perché lui era lui e io sono io».
Alla luce delle candele, in un ristorante intimo e prima che arrivi il conto, queste parole dispiegano il massimo del loro effetto. Non sono male neanche così, però: stampate su carta di giornale o lette online. La frase di cui sopra la dobbiamo a Michel de Montaigne, autore (anzi: inventore) dei “Saggi”, immensa raccolta di riflessioni su ogni argomento immaginabile, meglio se intimo e personale.
Tra le tante elaborazioni sul concetto dell’amore questa mi è sempre sembrata una delle più pregnanti, e la ragione sta nel fatto che non cerca semplicemente di catturare un singolo aspetto del sentimento per esibire una verità parziale e faziosa; al contrario, essa si sforza di comprenderlo tutto, tratteggiandone gli elementi indispensabili (l’amato e l’amante) e offrendo, da un punto di vista inevitabilmente soggettivo, la conclusione più oggettiva possibile: amiamo e non sappiamo perché. Nonostante ciò, amiamo.
«Lui era lui e io sono io» fa dire Montaigne a un’immaginaria innamorata. Ogni altra ragione per amare non solo è superflua, alla lunga è dannosa. Non si possono immaginare motivi che siano altrettanto incorruttibili rispetto alla doppia tautologia di cui sopra: se si ama per la bellezza fisica, il tempo provvederà a disilluderci; se si ama per interesse, la realtà provvederà a svuotarci di rispetto e a riempirci di solitudine; se si ama per ripicca, l’indifferenza del mondo ci renderà ridicoli. Non resta altra ragione per amare che quella indicibile e totale di Montaigne: si ama per amare, non per pensare, per guadagnare, per mangiare, dormire o sfogare i sensi. Si ama quando lui è lui e lei è lei.
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