Scriveva l’altroieri l’anonimo redattore di un’agenzia: «La Calabria è al secondo posto, dopo Sicilia e Campania, nella classifica delle regioni con la maggiore “povertà educativa”». Questo mi ha fatto pensare che la povertà educativa di cui sopra deve aver contaminato anche la capacità di contare, perché parrebbe che dopo Sicilia e Campania ci sia a disposizione un terzo posto e non un secondo.
Siccome però la faccenda è seria, e inoltre potrebbe esserci in ballo un “ex aequo”, sarà meglio rientrare subito nei ranghi e spiegare per bene la situazione. La ricchezza - o la povertà - educativa di una regione si misura in base alle occasioni di istruzione che essa offre. Possiamo dir male della Lombardia, se vogliamo, ma non c’è dubbio che qui, tra alti e bassi, tale offerta sia piuttosto vasta. Non solo: le famiglie sanno di poter contare - pagando - sulle mense scolastiche, sul tempo pieno e su strutture e attrezzature didattiche sufficienti anche se non sempre eccellenti.
Questo ancora non accade al Sud e doverlo riferire nel 2016 sembra francamente umiliante. Proprio non vorrei addentrarmi nelle ragioni storiche di tale frattura. Preferisco saltare direttamente alle conseguenze che comporta. Riferisce ancora l’anonimo redattore: «Il 37% dei quindicenni calabresi non raggiunge la soglia minima di competenze in lettura e il 46% in matematica (con medie del 20% e 25%), con un tasso di dispersione scolastica del 17%».
Ormai anche nell’angolo più remoto e arrancante della Terra si ha piena consapevolezza che il sapere è l’unica risorsa inesauribile che può portare crescita e sviluppo, ma il Sud dell’Italia resta al riparo da tanto rivoluzionario illuminismo. Talenti e intelligenze seccano al sole, oppure si disperdono come infiltrazioni nei tetti delle vecchie scuole. Qualcuno si salva andandosene e spingendo così la sua terra, senza volere, ancora più indietro.
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