Leggo i giornali con la dovuta attenzione e apprendo che una certa stellina televisiva ha annunciato l'intenzione di sposare un certo procuratore sportivo. Auguri e figli del sesso preferito, naturalmente, ma anche da parte mia una domanda: è giusto in un caso del genere parlare di "annuncio"?
La domanda non è rivolta alla stellina né al procuratore: riguarda invece i giornali che hanno deciso di trasformare la risposta data durante un talk show in un "annuncio". Ma, con questa parola, non si intende forse una comunicazione di interesse collettivo? Non si allude forse a un'esternazione non priva di conseguenze pubbliche? Nel caso dei due in oggetto, sfugge la materia stessa dell'annuncio: semmai si dovrebbe parlare di registrazione di un evento mondano.
È vero che, da che mondo e mondo, anche per questioni legali, i matrimoni si "annunciano" ma nel caso dei due personaggi di cui sopra la stampa lascerebbe intendere una rilevanza dell'evento superiore a quella che, a ben guardare, esso effettivamente ha. Purtroppo, ciò che manca nell'uso lievemente enfatizzato della parola è l'ironia. Peccato, perché "annuncio" è una parola perfettamente compatibile con questa figura retorica. Applicata, per esempio, ai bambini conferisce una bonaria e affettuosa solennità alle loro uscite più buffe: "- Non mangerò mai più piselli in tutta la mia vita -, annunciò Lisetta".
Nel sostituire comunicazioni triviali e contingenti a esternazioni di importanza storica, l'ironia fa di "annuncio" una parola capace di smontare un poco del nostro sussiego, intervento sempre lodevole e da incoraggiare perché la prevalenza dei palloni gonfiati è uno dei problemi più seri del vivere civile. Usandola come luogo comune deformato e ingigantito per diffondere i fatti privati di due vip minori, i media invece la aggiungono all'elenco delle vittime di un linguaggio praticato ormai a spanne. Un linguaggio in cui si annunciano notiziole di cronaca rosa e si fa del pettegolezzo sulle tragedie vere.
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