Apparenze

Apparenze

Se avete investito i risparmi in azioni Facebook, complimenti: il vostro capitale si è dimezzato. Neppure buttandovi sui titoli greci con una spruzzatina di obbligazioni portoghesi avreste potuto fare meglio.

La domanda, legittima, ora è questa: perché? Perché se Facebook è così popolare, tutti lo usano, condividono le loro informazioni più interessanti e anche quelle meno interessanti, se a migliaia ogni minuto aprono un account, se la “app” è scaricata più di Elisabetta Canalis, se il logo con la scritta bianca su sfondo blu rivaleggia in riconoscibilità con quello tutto svolazzi della Coca Cola, perché, insomma, se Facebook è Facebook, le sue azioni non valgono una cicca? La risposta, fornita da autorevoli editoriali, è sconcertante: la colpa è di Mark Zuckerberg, ovvero dell'inventore del social network, e della sua aria da ragazzino, delle sue felpe, dei suoi jeans e delle sue scarpe da ginnastica. Per rassicurare gli investitori, scrive il Los Angeles Times, ci vorrebbe “un amministratore delegato più adulto e maturo”.

Insomma: poco importa che nel cervello del ragazzo in felpa e jeans sia scoccata la scintilla creatrice, il mondo finanziario ha ancora bisogno di essere rassicurato da una figura paterna, ovvero un tizio “over cinquanta” in giacca e cravatta.

Che delusione. In questo campo, credevamo di aver fatto strada e invece siamo più o meno al punto di partenza. Vedete: c'è stato un tempo in cui contavano le apparenze. Poi ce n'è stato un altro in cui contava contraddire le vecchie apparenze con nuove apparenze. Ci illudevamo di essere arrivati a un tempo in cui le apparenze non contano più. Sbagliato: la finanza punta ancora sul regimental. E sotto sotto pensa che qualunque ragazzino idiota può avere un'idea geniale. Ma ci vuole un genio adulto per trasformarla in un'idiozia.

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