Archeologia dell'attualità

Archeologia dell'attualità

Tutte le grandi scoperte dell’archeologia nascono dall’occhio allenato di un esperto. Non è che un tale va a fare una passeggiata e nota una piramide mai vista prima; al contrario, spesso a rivelare un grandioso passato architettonico non rimangono che pochi indizi: una moneta (gli antichi erano molto distratti con il denaro: gli archeologi non fanno altro che trovare monete dappertutto), un coccio di vaso, il particolare di una statua non del tutto cancellato dalla polvere.
Così è anche con certi comportamenti umani: l’occhio attento, anche un po’ smaliziato, vede ciò che altri non vedono e, soprattutto, individua similarità in contesti apparentemente diversi. Questa settimana, per esempio, un archeologo dell’attualità degno di questo nome avrebbe dovuto notare al volo l’affinità tra due notizie che, invece, si è continuato a trattare su binari paralleli. Fateci caso: dapprima Umberto Bossi ha chiamato «porci» i romani; poco più tardi, gli svizzeri hanno definito «topi» i frontalieri italiani. Vedete come, una volta effettuato l’accostamento, incominci a emergere un disegno più complesso, un tessuto comune, una trama condivisa?
A questo punto, non resta che incominciare a scavare. Con un po’ di buona volontà potremmo scoprire che, magari, i lussemburghesi definiscono «scarafaggi» i belgi oppure che gli austriaci trattano gli sloveni da «sanguisughe» e gli ucraini da «iene» i moldavi. Chi lo sa? È probabile che emerga, alla fine, una verità più generale e profonda: l’uomo è una bestia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA