Architettura e territorio

Architettura e territorio

Di tanto in tanto - piuttosto spesso, a dire il vero - certi personaggi pubblici, soprattutto della politica, scoprono una parola e incominciano a usarla a più non posso. Li capisco: le parole hanno un fascino ed è facile lasciarsene abbacinare. Alcuni termini hanno un’eleganza innata e di conseguenza alludono a significati di particolare profondità, almeno apparente.
È il caso della parola «architettura» la quale, sottratta al suo ambito professionale, si adatta a contesti imprevisti ai quali aggiunge un sapore particolare, un po’ come l’esotico coriandolo cosparso, chessò, sul risotto alla milanese.
Sentite, a titolo di esempio, una frase pronunciata ieri da Silvio Berlusconi: «Occorre approvare le riforme istituzionali necessarie per ammodernare l’architettura costituzionale dello Stato». Messa così, e proprio grazie all’intervento della parola «architettura», la faccenda assume un aspetto di alta rilevanza culturale. Modificare la Costituzione diventa un atto di carità artistica, l’illuminata urgenza di salvare un prezioso monumento, come una villa del Palladio o un affresco del Morazzone.
Altro termine di eguale fascinazione è «territorio»: da quando l’hanno scoperto, i politici non fanno altro che «organizzare il territorio», «scendere sul territorio», «studiare il territorio». Senza far caso che, proprio con una distorta concezione dell’«architettura» imposta a uno stravolto concetto del «territorio» si è costruito il deserto in cui ci troviamo.

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