In migliaia hanno marciato, a Milano, contro il razzismo e per quanto la marcia possa essere stata politicamente polarizzata, non ci sono dubbi che il razzismo sia una brutta cosa. Lo ammettono, paradossalmente, perfino i razzisti i quali di solito si rifiutano di passare per tali: sono le circostanze, sostengono, che ci costringono a prendere certe posizioni; non prendendole, saremmo complici di qualcosa di peggio.
Opinione molto discutibile, vorrei dire, ma qualche volta anche le opinioni discutibili servono a qualcosa: in particolare, a ricordarci che la realtà non è (quasi) mai bianca o nera (ogni riferimento razziale è da considerarsi involontario). Qualcuno, per esempio, ha fatto notare che figure di grande rilievo nella storia del pensiero umano, oggi grandemente ammirate e scrupolosamente studiate, occasionalmente hanno sfornato opinioni, alle nostre orecchie, piuttosto sgangherate. Le elenca, in un articolo online, il filosofo britannico Julian Baggini.
Qualche esempio: un personaggino del calibro di Aristotele sosteneva con piglio sostenuto, e senza l’effetto lubrificante dello spritz, che «per natura il maschio è superiore e la femmina inferiore». Si può osservare che lo stesso Aristotele credeva che le anguille nascessero direttamente dal fango e dunque, in un certo senso, si dimostrava spesso incline alla bizzarria, ma anche pensatori più vicini a noi non mancano di sconcertare.
David Hume, filosofo che oggidì molti ritengono sia il caso di rispolverare (non fosse altro per il suo vigoroso richiamo a esercitare un ponderato scetticismo sulle cose del mondo), non esitava ad affermare che «i negri, e in generale tutte le altre razze umane, sono inferiori all’uomo bianco». Opinione condivisa da Immanuel Kant, secondo il quale «l’umanità raggiunge la perfezione nella razza bianca».
Se queste cose Aristotele, Hume e Kant le avessero pubblicate oggi sulle loro pagine Facebook, sarebbe venuto fuori un putiferio: editoriali, commenti al vetriolo, video virali e una puntata intera di “Propaganda Live”.
Vien da chiedersi, di primo acchito, se il politicamente corretto possa essere retroattivo, ma ciò appare poco probabile. Sembra più ragionevole considerare i brillanti pensatori di cui sopra come uomini del loro tempo e non del tutto immuni, di conseguenza, dai pregiudizi più diffusi nella loro epoca.
«Chi non riesce a perdonarli per quelle uscite - sostiene Baggini - vuol farci credere che, nelle stesse circostanze, non sarebbe mai caduto così in errore». Purtroppo, sottolinea il filosofo, la nostra cultura si appoggia alla falsa convinzione che l’intelletto dell’individuo sia indipendente dal contesto sociale. Non è così: i nostri sforzi di esprimere pensieri originali sono comunque modellati e limitati in modo profondo dall’ambiente che ci circonda.
Procediamo un po’ a tentoni, inciampando nei nostri stessi pregiudizi, incluso quello di imporre a uomini del passato convinzioni che sono socialmente evidenti soltanto nel presente. Più sicuro e saggio sarebbe allora importare da costoro non tanto le opinioni, quanto i metodi di indagine: la curiosità di Aristotele, per esempio, e lo scetticismo di Hume.
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