In queste giornate di tempo cattivo lamento un'assenza importante: quella del tuono. Direte voi che ne avete abbastanza della pioggia e delle conseguenti pozzanghere, degli ombrelli fradici, del sentore di umido e delle faticose manovre che, in queste circostanze, la vita all'aperto richiede in aggiunta a se stessa. Va bene, avete ragione: la mia è una pretesa inutile. In questo pantano, c'è per tutti abbastanza disagio - se non addirittura sofferenza - senza che se ne reclami dell'altro.
Ma il tuono è diverso: almeno questo permettetemelo. Certo, bisogna anche dire che non ci sono più i tuoni di una volta o forse, a essere precisi, sono io che non ho più lo spirito tenero per ascoltarli come facevo un tempo. Li ricordo però, e con vividezza.
Il ricordo è di una casa di campagna. Di solito il temporale incominciava a borbottare la sera presto, all'imbrunire (poiché parliamo del passato, questo verbo un poco romantico mi sarà concesso), ma la mia famiglia, o forse io soltanto, non lo prendeva sul serio. Poco più tardi, quando era ormai buio, il temporale si avvicinava di brutto, con prepotenza, e sottovalutarlo non era più possibile. Sotto le coperte, immaginavo un gran cozzare di nuvole, come onde su un relitto ormai perduto, come tra gli scudi di due antichi eserciti che si affrontassero corpo a corpo. Ancora qualche minuto, interminabile, e il temporale raggiungeva il culmine. Una pausa drammatica, ed eccolo annunciare il suo tuono più potente.
Questo incominciava con una scarica, un lontano crepitare di fucileria, poi il vocione saliva tremendo, ad annunciare tutta la sua rabbia, e infine arrivava l'urto possente, insostenibile. Mi coprivo le orecchie per arginare quell'esplosione, quell'urlo selvaggio che strappava a tutti, anche agli adulti più padroni di se stessi, un brivido profondo. Per me solo questi tuoni del passato, brutali come l'ira di un padre severo, sapevano lasciare dietro di sé una quiete pura e irreale, esilarante: una speranza di rinascita.
Ma il tuono è diverso: almeno questo permettetemelo. Certo, bisogna anche dire che non ci sono più i tuoni di una volta o forse, a essere precisi, sono io che non ho più lo spirito tenero per ascoltarli come facevo un tempo. Li ricordo però, e con vividezza.
Il ricordo è di una casa di campagna. Di solito il temporale incominciava a borbottare la sera presto, all'imbrunire (poiché parliamo del passato, questo verbo un poco romantico mi sarà concesso), ma la mia famiglia, o forse io soltanto, non lo prendeva sul serio. Poco più tardi, quando era ormai buio, il temporale si avvicinava di brutto, con prepotenza, e sottovalutarlo non era più possibile. Sotto le coperte, immaginavo un gran cozzare di nuvole, come onde su un relitto ormai perduto, come tra gli scudi di due antichi eserciti che si affrontassero corpo a corpo. Ancora qualche minuto, interminabile, e il temporale raggiungeva il culmine. Una pausa drammatica, ed eccolo annunciare il suo tuono più potente.
Questo incominciava con una scarica, un lontano crepitare di fucileria, poi il vocione saliva tremendo, ad annunciare tutta la sua rabbia, e infine arrivava l'urto possente, insostenibile. Mi coprivo le orecchie per arginare quell'esplosione, quell'urlo selvaggio che strappava a tutti, anche agli adulti più padroni di se stessi, un brivido profondo. Per me solo questi tuoni del passato, brutali come l'ira di un padre severo, sapevano lasciare dietro di sé una quiete pura e irreale, esilarante: una speranza di rinascita.
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