So bene come a tanta gente - in particolare ai tassisti - la parola Uber provochi un infarto al tassametro, ma se, attingendo alla scorta di tolleranza, anch’essi volessero esaminare l’ultima idea del famoso network di auto private, forse dovrebbero riconoscere - pur a denti stretti - che c’è del buono, se non addirittura del geniale.
Innanzitutto, lo slogan, impossibile da non apprezzare: “Più sederi in meno auto”. Poi, l’idea vera e propria: sfruttare la tecnologia delle app per incoraggiare il “car pool”.
L’esperimento si chiama UberHop e dovrebbe incominciare a Seattle. L’utente verrà invitato a usare il cellulare per mettersi in contatto con altre persone interessate a un percorso simile a quello di cui ha necessità: una volta raggiunto un numero sufficiente di passeggeri, Uber fornirà auto e autista. Naturalmente, gli utenti dovranno essere disposti a qualche compromesso: l’app fornirà loro un indirizzo al quale presentarsi per essere prelevati e disporrà un punto di scarico non troppo lontano dalla destinazione di ognuno ma anche studiato in modo da non costringere la vettura ad un allungamento eccessivo del percorso.
Poiché questa non vuole essere pubblicità gratuita per Uber, mi preme dire che l’idea tutta ha per me un solo punto debole: che per arrivarci sia stato necessario lo sfruttamento commerciale della medesima. Da anni è chiaro che la libertà di circolazione individuale, prerogativa delle automobili, ha dei margini di spreco e irrazionalità e altrettanto evidente è che le tecnologie informatiche possono essere applicate per migliorare la vita collettiva, e non solo per indulgere negli interessi personali. Nonostante ciò, per mettere insieme due più due è sempre indispensabile che qualcuno scopra come trarne vantaggio economico. In questo modo metteremo senz’altro più sederi in meno auto - ed è un bene - ma anche più soldi nei soliti conti correnti. E qui c’è meno da gioire.
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