Avvisatemi

Avvisatemi

A pensarci, l’esistenza dei film dell’orrore è una sorta di mistero. Per quale ragione, oltre a quella, banale, di offrire un posto di lavoro a gente con la faccia di Klaus Kinski o Conrad Veidt, si sente la necessità di un genere cinematografico, di un’industria addirittura, concepita allo scopo di filmare cose che, negli spettatori, provocano l’impellente desiderio di fuggire dalle loro stesse scarpe? Perché, nel buio della sala cinematografica, cerchiamo la paura quando la paura, nella vita di tutti i giorni, ci sforziamo di evitarla come fosse peste o un brano di Franco Simone?

Una risposta è semplice: perché la paura del cinema è una paura innocua, virtuale. Dopo aver assistito a un filmaccio sanguinolento possiamo sentirci dei sopravvissuti, perfino un po’ eroi, senza in realtà aver corso alcun pericolo. Potrebbe però esserci un’altra ragione, sottile e sorprendente: la paura è ciò che, più dello studio, più dell’intelligenza e più del cuore, può farci apprezzare l’arte.

Lo dice uno studio psicologico: un film dell’orrore è ciò che meglio predispone a visitare una mostra e ad assaporare la bellezza che, si suppone, in essa viene dispiegata. Il contrasto tra cattivo e buono, giusto e sbagliato, malvagio e misericordioso, è anche e forse soprattutto un contrasto estetico tra brutto e bello. Opposti che si alimentano a vicenda: più cose brutte si assorbono, più cose belle si apprezzano. Per questa ragione, ho deciso di chiudermi in un cinema che proietta solo film di Dario Argento: quando lì fuori succede qualcosa di bello, avvisatemi.

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