In un Paese pieno di palle non è gran sorpresa scoprire che abbiamo abbondanza di esperti in balistica. Le sparano grosse più o meno tutti e non ci sarebbe gusto a farlo se non riuscissimo a calcolare con sufficiente precisione la gittata delle nostre panzane e a stabilire con decente accuratezza il punto d’impatto delle fesserie a lungo raggio.
Per questa ragione, dovremmo seguire il dibattito nazionale sui famosi lacrimogeni del ministero di Giustizia come fosse una questione sportiva: come il tiro con l’arco alle Olimpiadi, insomma, in attesa che ai Giochi faccia il proprio trionfale ingresso la disciplina del Pallone Gonfiato.
Non perché non si tratti di materia grave: i dibattiti nostrani partono quasi sempre da questioni serissime, è solo che poi abbiamo un modo tutto nostro di volgerli in farsa, in ricerca del pelo dell’uovo, in distorsione intellettuale e, soprattutto, in esercizio di sterile dietrologia. Tanto vale allora, spendere un poco di ironia sulle traiettorie dei lacrimogeni, sulle presunte deviazioni, sui rimbalzi, gli effetti a rientrare, le cadute a "foglia morta" che fanno sospettare come tra le forze dell’ordine, occultati sotto la pesante divisa antisommossa, si celassero dei talenti alla Maradona.
Certo, non è proprio edificante nutrire il sospetto che quei proiettili siano partiti da un ministero anche se, in fatto di sparate, non è che negli uffici governativi manchino i precedenti specifici. Poco edificante, soprattutto, è questa ennesima spaccatura sociale, tra la retorica delle forze dell’ordine «in prima linea» e i manifestanti piagnucolosi - non solo per i gas -, vittime della «brutale» repressione poliziesca. Le reciproche botte fanno male, malissimo anzi, ma i bozzi rientrano e le ferite si rimarginano. Le recriminazioni, invece, continuano in un gioco di specchi velenoso e stomachevole. Così, in un certo senso, non è tanto importante capire da dove arrivassero quei lacrimogeni: importante è sapere dove andranno.
Per questa ragione, dovremmo seguire il dibattito nazionale sui famosi lacrimogeni del ministero di Giustizia come fosse una questione sportiva: come il tiro con l’arco alle Olimpiadi, insomma, in attesa che ai Giochi faccia il proprio trionfale ingresso la disciplina del Pallone Gonfiato.
Non perché non si tratti di materia grave: i dibattiti nostrani partono quasi sempre da questioni serissime, è solo che poi abbiamo un modo tutto nostro di volgerli in farsa, in ricerca del pelo dell’uovo, in distorsione intellettuale e, soprattutto, in esercizio di sterile dietrologia. Tanto vale allora, spendere un poco di ironia sulle traiettorie dei lacrimogeni, sulle presunte deviazioni, sui rimbalzi, gli effetti a rientrare, le cadute a "foglia morta" che fanno sospettare come tra le forze dell’ordine, occultati sotto la pesante divisa antisommossa, si celassero dei talenti alla Maradona.
Certo, non è proprio edificante nutrire il sospetto che quei proiettili siano partiti da un ministero anche se, in fatto di sparate, non è che negli uffici governativi manchino i precedenti specifici. Poco edificante, soprattutto, è questa ennesima spaccatura sociale, tra la retorica delle forze dell’ordine «in prima linea» e i manifestanti piagnucolosi - non solo per i gas -, vittime della «brutale» repressione poliziesca. Le reciproche botte fanno male, malissimo anzi, ma i bozzi rientrano e le ferite si rimarginano. Le recriminazioni, invece, continuano in un gioco di specchi velenoso e stomachevole. Così, in un certo senso, non è tanto importante capire da dove arrivassero quei lacrimogeni: importante è sapere dove andranno.
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