Se conoscessi una tecnica sicura per tacitare quella sorta di “coscienza pubblica” che, facendo il giornalista, mi trovo a portare sotto la giacca, potrei sfruttarla, oggi, per schivare agilmente l’argomento “5 stelle”, il bailamme che li riguarda e il livello particolarmente disgustoso del dibattito politico nazionale. Non conosco tale tecnica e dubito che esista: dunque, dirò la mia, anche se non ha importanza alcuna: lo faccio per tacitare il rimorso che, altrimenti, crescerebbe in me tormentandomi come farebbe per una concreta, significativa omissione.
Avendo deciso di parlare, ecco quello che dirò. È ovvio che non mi piacciono gli insulti personali e i reciproci riferimenti alla fedina penale (essendo reciproci, sono intimamente futili). Ancora meno mi piacciono i roghi dei libri e meno di tutto sopporto gli imbecilli che vanno a farsi intervistare in tv contenti di sentire il suono della loro voce. È scontato anche che non mi piacciano i “post” che incitano allo stupro, che diffamano per il gusto di diffamare e che fanno della lingua italiana, strumento tutto sommato eclettico e raffinato, una fabbrica di peti verbali. Tutto ciò, per quanto sgradevole, indegno e vergognoso, sarebbe tuttavia trascurabile, perfino secondario, se, alla fine, dall’indecorosa gazzarra uscisse qualche utile riforma dell’assetto politico, sociale e culturale del Paese.
Le rivoluzioni non sono mai state cene di gala e potremmo dirci fortunati se ne attraversassimo una pagando solo lo scotto di uno spintone e di due urlacci e sopportando al massimo la ridicola infamità di chi, per offendere, mette in dubbio la moralità della mamma o la potenza virile del babbo. Il guaio è che non ci sarà nessuna rivoluzione e non solo perché non c’è chi ne voglia una: manca anche l’idea di che cosa rivoluzionare e perché. Non solo: dopo l’inutile, farsesca gazzarra, ci toccherà probabilmente assistere a un’altrettanto inutile, farsesca e per soprammercato patetica riconciliazione, fatta di lacrime e saliva. Italiani bava gente.
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