Bearzot è morto

Bearzot è morto

Il tempo, naturalmente, finisce per coprire ogni cosa con una patina di mito. Nei ricordi di chi c’era, l’estate del 1982 passerà sempre per straordinaria: l’Italia di Enzo Bearzot vinceva il campionato del mondo di calcio e l’intero Paese saliva, idealmente, sulla vetta della Terra. Non era proprio così, si capisce: c’erano anche cose, in quell’estate, non altrettanto esaltanti. Fate conto che in un luglio così eroico per il calcio italiano, il sistema scolastico nazionale consegnava al sottoscritto un diploma di maturità: capirete subito come, nonostante il "mundial", la nazione continuasse ad avere le sue inefficienze.
Eppure, alla notizia della scomparsa di Bearzot, ho ripensato con dolcezza a quei giorni. Più delle sequenze iconiche - il gol di Tardelli, Pertini in tribuna, le feste in strada - la memoria mi ha offerto un intenso "replay" delle serate calde, del profumo dei fiori e della sensazione lievemente inebriante che, di fronte a me, stesse per schiudersi una stagione nuova, ancora piena di nulla e quindi potenzialmente piena di tutto. Avevo 19 anni, la scuola era finita e l’Italia era campione del mondo: come non abbracciare quel momento nella fiducia che fosse il migliore per incominciare qualcosa, qualunque cosa?
Mi chiedo se i ragazzi di oggi, quelli che manifestano e quelli che non manifestano, avranno mai la fortuna di assaporare un’estate simile, una stagione che porti loro l’intuizione di un futuro promettente. Ma forse non è un caso se siamo in inverno. E se Bearzot è morto.

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