Conosciamo la sensazione: vivere in provincia è come bivaccare nella sala d’attesa della stazioncina dove i treni che contano non si fermano mai. Un sibilo, un poco di tumulto, i finestrini che scorrono rapidi come fotogrammi, e tutto torna presto nella quiete. Certo, si può sperare che accada qualcosa in grado di suscitare l’interesse nella nazione. Un terremoto funziona sempre, ma anche un bel delittone non scherza: qualche titolo d’apertura nei telegiornali e già al bar si raccolgono le iscrizioni per la gita in pullman a “Porta a porta”.
Eppure, la provincia avrebbe tanto da raccontare anche senza ricorrere a catastrofi e omicidi. In qualche caso, non raro, nelle pieghe delle cronache locali si intravedono straordinarie anticipazioni: si legge, in altre parole, il futuro del Paese.
Prendiamo il caso di Faeto, in provincia di Foggia: 638 abitanti al sole del Subappennino dauno. Ebbene, il prossimo 11 giugno il paese avrebbe dovuto votare per il nuovo Consiglio comunale. Avrebbe.
Tra i 638 abitanti di Fauno - e i 60 milioni di non abitanti di Fauno -, non si è trovato un disperato disposto a candidarsi, non dico per la poltrona di sindaco, ma neppure per un posto di consigliere. Come prevede la legge, il Comune verrà amministrato da un commissario fino a quando, probabilmente l’anno prossimo, non sarà rinnovata la chiamata alle urne (e alle candidature).
Certo, l’evoluzione demografica di Faeto non incoraggia l’incubazione amministrativa: nel 1911 il paese aveva 4.500 abitanti, nel 2011 solo 644. Eppure, mi sento di dire che il piccolo centro del Foggiano rappresenta un’avanguardia o, se volete, l’avvisaglia della desertificazione politica. Abbiamo avuto politici per vocazione e per professione, per interesse e per spettacolo e infine sono arrivati quelli per improvvisazione. Superato tutto ciò, non resta molto: benvenuti a Faeto.
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