Sempre alla ricerca di consolazioni in queste giornate che è diventato irritante insistere nel definire “difficili”, ci siamo incantati a guardare le immagini trasmesse dal satellite della pianura padana finalmente sgombra dallo smog, della catena dell’Himalaya visibile da centinaia di chilometri di distanza, di Bambi che passeggia nel parcheggio del supermercato e dei leoni che, in Sud Africa, fanno la pennichella in mezzo alla strada.
Ci hanno dato l’idea, quelle foto, di un mondo finalmente in grado di pigliare fiato e, soprattutto, hanno alimentato la convinzione che almeno un lato buono, la dannata pandemia, ce l’ha. Pensate: gli esperti dicono che, per effetto dei “lockdown" ormai applicati in tutto il mondo, le emissioni di CO2, quest’anno, dovrebbero ridursi di circa il 5 per cento.
Con la testa che ci hanno fatto circa la necessità di contenere la presenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera, pena il disastro ambientale più assoluto, questa notizia, nel contesto generale, dovrebbe suonare più che buona: addirittura meravigliosa. E invece gli stessi esperti ci dicono che la cosa, al contrario, è preoccupante.
Prima di mandarli al diavolo, ascoltiamo le loro ragioni. Questa riduzione delle emissioni - sostengono gli esperti - non è dovuta a un aggiornamento delle tecnologie o a un sostanziale cambiamento delle abitudini di vita da parte del pubblico: sta accadendo semplicemente perché i governi obbligano la gente a non uscire di casa. Un vero beneficio per l’ambiente si ottiene soltanto attraverso politiche di lungo termine. Il lockdown non serve a nulla, a meno che dallo stile di vita forzosamente adottato in queste settimane non si riesca ad adottare qualche benefica abitudine. Il telelavoro, per esempio, potrebbe ridurre la necessità di movimento e con essa le emissioni dovute ai mezzi di trasporto. Potremmo anche tornare ad apprezzare il piacere dei viaggi a corto raggio, rinunciando a saltare su un aereo ogni due per tre. Cambiamenti d’abitudine che avranno un impatto violento sull’economia - anche questo fattore va considerato - ma che dal punto di vista della tutela ambientale potrebbero rivelarsi utilissimi.
Per adesso, le fotografie della pianura padana verde e rigogliosa come uno spot del Mulino Bianco e quelle dei cerbiatti che passeggiano perplessi sulla tangenziale sono documenti in procinto di passare ai libri di storia, ma ancora non rappresentano una svolta nella cultura ambientale dell’homo sapiens.
Piuttosto, hanno la funzione di mostrare anche agli occhi dei più ostinati negazionisti quale sia l’impatto dell’attività umana sul pianeta. Messo a cuccia l’uomo per qualche settimana, la Natura s’allarga come farebbe uno scapolo nel lettone. Temo non si renda conto, nella sua forza genuina e indifferente, che il pericolo non è scampato. Chiuso nella sua tana di laterizi, l’uomo già progetta la “fase 2”, alla quale seguirà una “fase 3” e una “4”, fino a quando non ci saranno più fasi ma solo code ai caselli, aperitivi in centro, discoteche a pieno regime, doppi turni in fabbrica, low cost Milano-Maldive, concertoni rock da centomila presenze e barbecue di massa fuori porta. L’Uomo chiamerà questi ultimi “tornare alla natura”. La Natura li chiamerà tornare all’uomo.
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