A giornali e commentatori in genere non è parso vero dare addosso agli ultrà della Nocerina i quali, con tutta evidenza, non dispongono di un ufficio stampa molto efficiente visto che non una lparola si è levata in loro difesa. Sarà anche per il fatto che la loro posizione è in sostanza indifendibile: siccome non potevano andare a vedere una partita hanno minacciato i giocatori della loro squadra perché la partita non fosse neppure disputata. Un comportamento da bulli, quali sono, per il quale è impossibile esprimere solidarietà.
Difficile però essere solidali anche con i commenti indignati, ai toni da “che tempi, signora!” e “ma dove andremo a finire?” che si sono uditi provenire dalle tribune più prestigiose. Difficile, soprattutto, condividere la sorpresa di cui i commenti sembravano permeati. Quanto è accaduto al derby Salernitana-Nocerina era infatti un evento predestinato. Restava da capire dove sarebbe accaduto, quando e in quale forma.
Che fosse destinato ad accadere lo si poteva intuire, io credo, fin dal momento in cui per combattere fenomeni di violenza, razzismo e insultante campanilismo, si è scelto di infliggere multe e squalifiche lasciando nel contempo intatta la struttura e, diremmo, la filosofia dei gruppi di curva. I quali, indisturbati nella loro libera gestione di ampi settori degli stadi, reagiscono alle imposizioni con l’unica arma di cui dispongono: la forza bruta che deriva dall’unità del gruppo.
Del resto, è sempre apparso un po’ curioso voler imporre la tolleranza a colpi di castigo, la comprensione a frustate di squalifiche. Il rispetto per gli altri è sempre una conquista individuale, un’avvicinamento personale: i gruppi di curva vivono invece sul confronto di massa ed è difficile pensare si prestino a conversioni collettive. Razzismo e maleducazione risuonano particolarmente sgradevoli quando amplificati dalla cassa di risonanza degli stadi ma non sono rari neppure nelle strade. Ma lì, qualche volta, fa comodo lasciarli circolare.
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