Buon compleanno, Aglaja Ivanovna Epancina

Si è fatto un gran parlare (insomma: un certo parlare, i post di Fedez non hanno temuto la concorrenza) dei duecento anni dalla nascita di Fedor Dostoevskij, il grande scrittore russo che ci ha lasciato capolavori come “Delitto e castigo”, “I fratelli Karamazov” e “L’idiota”.

Si è parlato molto meno - anzi, niente del tutto - del 152° compleanno di Aglaja Ivanovna Epancina -, forse perché la ricorrenza non fa cifra tonda, oppure perché, non essendo Aglaja una creatura in carne e ossa ma un personaggio creato dallo stesso Dostoevskij, si è ritenuto che i festeggiamenti diretti a quest’ultimo la coinvolgessero, per così dire, a cascata o, se volete, di rimbalzo. A me questa circostanza, pur comprensibile, ha provocato un poco di dispiacere. Infatti, pur ammirando immensamente la bravura e la profondità di Dostoevskij, di lui non sono mai stato innamorato.

Di Aglaja sì.

Nel corso di una precoce lettura de “L’idiota” - titolo che sentivo per qualche ragione particolarmente vicino -, la mia preferenza tra i personaggi femminili cadde immediatamente e irreversibilmente su Aglaja. Forse più naturale sarebbe stato provare attrazione per Nastas’ja Filìppovna, con tutta la sua bellezza, l’innocenza macchiata ma ancora indomita, la personalità pericolosamente tendente all’autodistruzione: un personaggio complesso, sofferente, profondo, magnifico, dotato perfino di un apostrofo conficcato in mezzo al nome a suggerire quasi un’interruzione della persona, una spaccatura, un’ulteriore, affascinante complicazione.

E invece no: il mio cuore batteva più forte solo quando entrava in scena lei, Aglaja, la figlia più giovane del generale Epancin. Così potente era per me la sua presenza che il resto del romanzo spariva con tutte le ingegnose sfumature e le macchinazioni volute dall’autore. Il principe Myskin andava e veniva, e con lui tutta una schiera di personaggi con il patronimico a strascico, compresi i nichilisti i quali, secondo me, per loro natura non avrebbero dovuto interessarsi alla vicenda e invece parevano parecchio coinvolti. In ogni caso, per me erano tutti riempitivi, manichini inutili: il mio interesse si risvegliava solo all’apparire di Aglaja. La quale, per chi non lo sapesse, era (scusate: è) un bel caratterino, un tipetto tutt’altro che accomodante. Bellissima, certo, ma autoritaria, capricciosa, viziata. E però, anche innocente e maliziosa insieme, capace di umorismo e ironia.

Aglaja ama il principe per la sua cristallina ingenuità e nello stesso tempo per quella stessa assurda purezza lo detesta: un atteggiamento che da contraddizione diventa perfetta prerogativa femminile. A me, lettore affacciato alle quinte, loggionista segretamente innamorato, Aglaja riservava una sorpresa a ogni battuta, un sobbalzo a ogni mossa: imprevedibile, eppure coerente.

Capivo che, certo, tanta meraviglia la dovevo all’autore, alla conoscenza che Dostoevskij aveva della vita e degli uomini e alla sua capacità di trasferirla sulla pagina. Eppure, parte di me non ha mai smesso di pensare (e sognare) che una donna così debba esistere per davvero.

Buon compleanno ovunque tu sia, Aglaja Ivanovna Epancina.

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