Buone intenzioni

Buone intenzioni

Alle 16,53 del 12 gennaio 2010 un terremoto di magnitudo 7.0 colpì Haiti, nei Caraibi. Ancora oggi non vi è certezza sul numero dei morti: le stime variano da novantamila a trecentomila.

Al disastro di Haiti, dobbiamo ammetterlo, in questi tre anni non abbiamo pensato molto, certo perché giustamente coinvolti dalle catastrofi nostrane (il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, 308 morti, e la serie di scosse che ha colpito l’Emilia tra il maggio e il giugno del 2012). Il resto del mondo, però, ci ha pensato eccome.

Sotto la guida degli Stati Uniti venne allora avviata una gigantesca macchina dei soccorsi capace di raccogliere, alla resa dei conti, qualcosa come 16 miliardi di dollari. Tre anni dopo, un libro ci dice che per Haiti tali aiuti sono stati un disastro se non peggiore quantomeno paragonabile al terremoto. Qualcosa ne sappiamo anche noi: basti pensare all’ondata di concerti rock che ha recentemente colpito la già provata popolazione emiliana.

Il libro, firmato dal giornalista Jonathan Katz, racconta una storia inquietante nella quale tutte le buone intenzioni del mondo sviluppato si sono trasformate in errori, paternalismo, pregiudizi, improvvisati palcoscenici per discutibili celebrità, sospetti alimentati dalla paranoia, ignoranza, inefficienza e ladrocinio. Basti dire che nell’ottobre 2010, nel pieno dello sforzo di cooperazione internazionale, non si poté impedire (e anzi, forse, si contribuì involontariamente a diffondere) un’epidemia di colera che costò la vita a circa ottomila haitiani. «A conti fatti - scrive Katz - solo il 7% di quei 16 miliardi è stato usato a beneficio della popolazione».

A tre anni da quella tragedia è giusto pensarci. Non solo: è opportuno pensarci anche a 40 giorni dal nostro voto. Le promesse che ci vengono fatte oggi potrebbero trasformarsi in tragedie domani: sia che vengano disattese sia che qualcuno, armato di incosciente e vanitosa buona volontà, cerchi di mantenerle.

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