Avrete letto - spero con raccapriccio - la notizia di quel turista americano che, qualche giorno fa al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, ha “dato il cinque” a una statua trecentesca (l’”Annunciazione” di Giovanni d’Ambrogio) staccandole il mignolo.
Lo sventato gesto, compiuto da un uomo di 55 anni proveniente dal Missouri, ha fatto il giro del mondo. Bloccato dopo un patetico tentativo di mescolarsi tra la folla e farla franca, il turista si è profuso in scuse, dicendosi mortificato per l’accaduto. Poiché il dito “fratturato” potrà essere ricomposto senza troppa fatica, l’episodio potrebbe passare nel dimenticatoio, eppure, prima di rimuoverlo dalla memoria, sarà utile analizzare come è stato raccontato dai media americani.
L’autorevole rivista “Time”, nella sua edizione web, imposta la notizia sulla preoccupazione che andare in giro a mutilare vecchie statue non aiuti a rimuovere, in Europa e nel mondo, lo stereotipo dell’americano ignorante e ingombrante. L’approccio del giornale divide i commenti: alcuni stigmatizzano l’inguaribile rozzezza dei turisti Usa citando un testo di Mark Twain del 1869 (“Innocents abroad”), altri definiscono l’approccio «razzista».
Per me rimane invece un mistero come mai, davanti a gesti stupidi, violenti e intolleranti, ancora ci si affanni a volerli incasellare in una cultura piuttosto che in un’altra, ad attribuirli a una qualche tara genetica o sociale circoscritta a un determinato popolo: gli americani rozzi e volgari, gli extracomunitari che - tutti, senza eccezioni - delinquono, gli italiani rumorosi e infidi. Chi lo sa? Forse in qualche lontana alba primordiale i cliché, invece di essere tali, erano verità originali. Oggi sembra di poter dire che non è così: risultano statue danneggiate da italiani come da stranieri, furti perpetrati da soggetti domestici e importati e la volgarità, quella, non conosce confini. Rallegriamoci: non ci sono più buoni e cattivi. Abbiamo infine sublimato il fetente globale.
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