In teoria il concetto è semplice: bisogna essere gentili e servizievoli perché conviene. La gentilezza e l’altruismo, in altre parole, sono atti di grande egoismo e siccome l’egoismo appartiene alla nostra intima natura, essere egoisti, e dunque gentili, dovrebbe venirci facile. Nella realtà, le cose non funzionano così, se è vero, come è vero, che di gentilezza in giro non si può dire ce ne sia in abbondanza.
Ma andiamo a capo e cerchiamo di chiarire. Molte ricerche dimostrano che la gentilezza nei confronti del prossimo e l’aiuto prestato agli altri sono estremamente benefici. Non per gli altri, attenzione: per noi stessi. Chi mantiene un profilo cordiale e offre parte del suo tempo per servizi di volontariato ottiene in cambio un sovrappiù di salute: il livello di stress si abbassa, tanto per incominciare, e il generale benessere psicofisico entra in una spirale benigna. Addirittura, in alcune circostanze si arriva al punto di indirizzare verso servizi di volontariato persone che lottano contro l’assuefazione a droghe o alcol, o che stanno affrontando il dolore di una perdita in famiglia.
Ecco perché, per paradosso, l’altruismo è egoistico: ci procura più benefici di una dieta salutare e, nel contempo, solletica i centri del piacere quanto se non meglio di una tavoletta di cioccolato. Siccome un po’ egoisti lo siamo tutti, non dovrebbe essere difficile essere anche altruisti. Ma qui torniamo alla domanda di cui sopra: se tutto ciò è vero, perché di gentilezza al mondo non ce n’è in abbondanza e, anzi, spesso bisogna andarsela a cercare come farebbe un soldato che balza dalla trincea, a zigzag tra un “vaffa” e l’altro nella speranza di non essere colpiti?
Forse perché - ma è solo un’idea - attribuiamo ancora alla gentilezza un valore assoluto e non ci riesce di considerarla un banale tornaconto. Se non possiamo essere gentili con disinteresse, almeno siamo maleducati senza secondi fini. Il prossimo, al diavolo, ce lo mandiamo proprio di cuore.
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