Caffè lunghissimo

Se ci si pensa a mente serena per più di un secondo, la decisione annunciata giovedì sera dalla Corte di Cassazione sul processo a Silvio Berlusconi per le irregolarità fiscali nella compravendita dei diritti tv di Mediaset presenta aspetti giuridicamente singolari.

Si tratta della condanna in via definitiva di un uomo di più settant’anni che è anche senatore della Repubblica. A complicare le cose, il fatto che parte della pena (quattro anni) ricade sotto indulto, senza contare che l’interdizione ai pubblici uffici confermata in secondo grado (cinque anni) dovrà essere sottoposta a ricalcolo da parte della Corte d’Appello.

Vista così, la faccenda sembra più che altro un appassionante garbuglio giuridico. Se i cittadini avessero veramente a cuore i meccanismi che regolano la convivenza civile in questo Paese dovrebbero discuterne da mattina a sera.

Facciamo il caso che due signori, uno di destra e l’altro di sinistra, si incontrino la mattina al bar. Sarà forse il secondo ad aprire la discussione: «La decisione della Corte di Cassazione, supremo giudice di legittimità, sigilla la questione sulla colpevolezza di Berlusconi. Ne tragga egli le conseguenze politiche».

«Il giudizio politico era già stato espresso prima della sentenza. La Corte di Cassazione, le ricordo, non esamina le prove raccolte e presentate durante il dibattimento ma verifica soltanto che sia stata applicata regolarmente la legge processuale. Nulla può dire sulla strumentalità delle accuse».

«E tuttavia la decisione della Cassazione deve essere presa a suggello della verità processuale emersa in tutto il percorso giuridico. Vorrei ricordarle, a proposito, la funzione nomofilattica della Corte stessa...»

Così, più o meno, dovrebbe essere ma così, ne siamo certi, non sarà mai. L’uomo di sinistra e quello di destra si guarderanno in tralice. «Evasore!» ringhierà uno. «Comunista!» sibilerà l’altro. Trangugeranno il caffè per poi andarsene ognuno per i fatti suoi. Come fanno da quasi 70 anni.

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