Un Caravaggio da 640 milioni di dollari locali (64 milioni di euro) è arrivato in città per essere esposto dopo aver affrontato il suo più lungo viaggio da quando fu dipinto nel 1606".
Solo un giornale di Hong Kong poteva aprire un articolo con una frase così congegnata. Il perché è presto detto: nessun giornale europeo, tantomeno italiano, avrebbe messo sul Caravaggio in questione - la "Cena a Emmaus" - il cartellino del prezzo, certamente non nella primissima riga.
A Hong Kong è invece perfettamente normale accostare a un'opera il suo riferimento monetario, come si fa con quelle fotografie di oggetti astratti dal contesto a quali si avvicina una monetina per far capire quanto sono grandi.
La nostra mentalità si ribella all'idea che un Caravaggio possa essere considerato un oggetto, prezioso (anzi: costoso) quanto si vuole ma pur sempre un oggetto. Per abitudine, davanti all'arte, specie quella più lontana nel tempo, tendiamo all'estrazione: la "Cena di Emmaus", secondo questo atteggiamento, "non ha prezzo".
In realtà a Hong Kong non intendono insinuare che il Caravaggio - arrivato in città dalla Pinacoteca di Brera per essere esposto alla Galleria della Asian Society - possa essere ceduto a chiunque abbia la sfacciataggine di presentarsi alla cassa con un assegno da 64 milioni di euro. Tale "valutazione" è solo un modo, piuttosto rozzo se vogliamo ma in un certo modo efficace, di "rendere l'idea" del suo valore. Possiamo ben criticare il giornale orientale e la mentalità che rappresenta, incapace di rendere il valore del dipinto da un punto di vista artistico e spirituale, ma, prima di tutto, dovremmo chiederci quale è invece il nostro metodo di valutazione, ovvero se l'astrazione del "senza prezzo", il nulla di automatico rispetto che mettiamo tra noi e i capolavori, è un sentimento autentico, sincero, o è solo un altro luogo comune tra i tanti, disteso a mo' di lenzuolo sulla generale indifferenza nei confronti della cultura.
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