Carpenteria familiare

Carpenteria familiare

Il linguaggio - benedetta e meravigliosa convenzione - costringe vecchi concetti a nuove attività. Un esempio: fino a non molto tempo fa, era uso manifestare la volontà di «farsi una famiglia». Erano tempi più edonistici e spensierati. Il consumismo pervadeva i cuori e le menti; «farsi una famiglia» equivaleva a rivendicare un diritto al benessere e al possesso: accanto alla famiglia era legittimo «farsi» un’automobile, una posizione e, con un’accezione grossolana, perfino l’amante.
Oggi tutto è cambiato e la famiglia non «si fa» più: piuttosto, «si costruisce». Ascoltiamo testimonianze di giovani precari («Mi piacerebbe costruire una famiglia»), di sventurati finiti in galera («Volevo solo costruirmi una famiglia»), di piccoli imprenditori strangolati dai debiti («Cercavo di proteggere la famiglia che con tanta fatica mi ero costruito»).
Come avrete compreso, questo lodevole sforzo di «costruire», atteggiamento manifatturiero e laborioso, un po’ da carpentieri degli affetti, spesso non va a buon fine. Anche questa negativa propensione trova nel linguaggio precisa rispondenza: famiglie così «costruite», infatti, si «sfasciano», mentre un tempo la famiglia che uno «si faceva» finiva piuttosto per «perderla», epilogo connaturato alla distratta leggerezza dell’epoca.
Ciò detto, francamente non saprei scegliere: meglio «perdere» la famiglia o ritrovarsela «sfasciata»? Succeda quel che succeda, io ce la metto tutta per «tenermela».

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