Solo a queste latitudini può accadere che una specie di catastrofe lasci migliaia di pendolari al gelo in mezza Lombardia e venga poi definita "nuovo orario invernale". A pensarci, forse un altro posto in cui lo spettacoloso eufemismo potrebbe essere applicato con lo stesso esito c’è: in un gulag siberiano. In tutti gli altri angoli del mondo, anche nei più remoti e arretrati, nessuno dei quali è al riparo da questi incidenti, si ha l’onestà di definirli per quel che sono: imbarazzanti disastri.
Anche noi scribacchini, bisogna dirlo, ci mettiamo del nostro. Guardate qui: poche righe e abbiamo già definito la giornataccia toccata ieri (e oggi) a Trenord, che ha accumulato ritardi su ritardi (anzi, ha accumulato nuovi ritardi su quelli ormai consolidati), in due modi diversi: "catastrofe" e "disastro". Significa usare le parole un tanto al chilo, senza rifletterci neppure per un secondo. Facile scrivere "disastro", facilissimo parlare di "catastrofe" e più facile ancora usare le due parole come fossero sinonimi. Più interessante chiedersi se, per caso, non ci sia una gerarchia. Quale delle due è peggio? La catastrofe o il disastro?
A spanne, si penserebbe che il "disastro" sia più lieve della "catastrofe". Lo si applica anche ad accidenti relativamente modesti: uno rovescia il vino sulla tovaglia e dice "che disastro", non "che catastrofe". D’altra parte un disastro è un disastro, non una barzelletta, e spesso si avvale del contributo dell’imperizia umana (disastro aereo, disastro ferroviario) mentre la catastrofe, pur gravissima, almeno è spesso tutta "colpa" della Natura.
Sembra una questione accademica, lo so, ma ha la sua importanza. Spinti da questa corrente sociale che sembra condurci di peggioramento in peggioramento, è importante conoscere la gerarchia delle parole. Almeno per poter dire: «Che catastrofe quest’anno! Quanto mi mancano i disastri di una volta...»
Anche noi scribacchini, bisogna dirlo, ci mettiamo del nostro. Guardate qui: poche righe e abbiamo già definito la giornataccia toccata ieri (e oggi) a Trenord, che ha accumulato ritardi su ritardi (anzi, ha accumulato nuovi ritardi su quelli ormai consolidati), in due modi diversi: "catastrofe" e "disastro". Significa usare le parole un tanto al chilo, senza rifletterci neppure per un secondo. Facile scrivere "disastro", facilissimo parlare di "catastrofe" e più facile ancora usare le due parole come fossero sinonimi. Più interessante chiedersi se, per caso, non ci sia una gerarchia. Quale delle due è peggio? La catastrofe o il disastro?
A spanne, si penserebbe che il "disastro" sia più lieve della "catastrofe". Lo si applica anche ad accidenti relativamente modesti: uno rovescia il vino sulla tovaglia e dice "che disastro", non "che catastrofe". D’altra parte un disastro è un disastro, non una barzelletta, e spesso si avvale del contributo dell’imperizia umana (disastro aereo, disastro ferroviario) mentre la catastrofe, pur gravissima, almeno è spesso tutta "colpa" della Natura.
Sembra una questione accademica, lo so, ma ha la sua importanza. Spinti da questa corrente sociale che sembra condurci di peggioramento in peggioramento, è importante conoscere la gerarchia delle parole. Almeno per poter dire: «Che catastrofe quest’anno! Quanto mi mancano i disastri di una volta...»
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