C'era una volta alle Nord

C'era una volta alle Nord

Non è chiaro se i film debbano assomigliare alla realtà, ma qualche volta accade che la realtà assomigli ai film. Questo concetto è utile tenerlo sempre presente, pena un certa sorpresa e un certo imbarazzo quando ci capita di notare che, all’improvviso, le cose intorno a noi sembrano uscite dalla testa di un regista.
A me, per esempio, è capitato ieri pomeriggio in una stazione ferroviaria delle Nord. Di colpo, l’atmosfera afosa, i binari arrugginiti, la desolazione della piattaforma - sulla quale non più di tre persone erano in attesa - sono andati a riprodurre con straordinaria precisione i fotogrammi di una pellicola firmata da Sergio Leone. Davvero non mancava nulla, se non uno spartito di Morricone le cui note, tuttavia, era facile rievocare. Per il resto, bastava lavorare un po’ con le prospettive. Ecco un campo lungo sui binari deserti, il tremore dell’afa in lontananza; ed ecco un dettaglio colto sul volto di un passeggero in attesa: una goccia di sudore sgorga appena sotto la tempia, resiste alla gravità per qualche secondo, poi scende lungo la guancia mal rasata. Un refolo di vento si alza a scuotere un ramo, che sembra resistere pigro, inerte come il braccio di un cadavere trasportato da un carro.
L’aria rovente è colma di tensione mentre il treno, ansimando, si avvicina. Ho l’impressione che il macchinista mastichi tabacco. Il treno è fermo: ancora qualche istante e le porte si aprono. Spunta la testa del bigliettaio: «Si ricordi di obliterare» mi dice. Ma, a questo, chi gliele scrive le sceneggiature?

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