Che cosa leggere

Si fa presto a dire «amo la lettura». Personalmente, potrei sostenerlo senza rossori e, credo, senza timore di apparire pretenzioso. Da che ricordi, non c’è stato un momento della mia vita in cui i libri, in qualche modo, non mi siano girati intorno.

In altre parole, sempre c’è stato almeno un libro sul mio comodino: a volte, il comodino non c’era e il libro sì.

Faccio per dire che amo la lettura, ma senza fare tante storie e senza atteggiarmi a chissà che. Amo la lettura come si ama una buona abitudine: fare ginnastica, passeggiare nella natura, non guardare Bruno Vespa. Trovo sia una pratica comunque utile, anche quando la lettura contingente si rivela non particolarmente brillante. Se non altro, il flusso delle parole scritte si sostituisce nella mente al chiacchiericcio spesso infruttuoso, banale e piagnucoloso prodotto dal cervello quando viene lasciato in autonomia.

Insomma, ripeto: si fa presto (e bene) a dire «amo la lettura». Il problema, almeno per me, incomincia quando si realizza che, negli anni, le inclinazioni verso i generi di lettura sembrano modificarsi in una guisa sottilmente inquietante.

C’è stato un tempo in cui, tanto per fare un esempio, amavo scorrazzare per i territori selvaggi della “beat generation”: leggevo dunque di eccessi, sbronze, precipizi fisici e intellettuali. Quegli stessi occhi che seguivano Burroughs e Ginsberg li sorprendo oggi a interessarsi dei più recenti studi sul cancro alla prostata.

Le pupille che in gioventù si emozionavano per le “Affinità elettive” scorrono oggi con simile trepidazione colonne in cui, con scarsa attenzione per allusioni e sfumature, si discute di rogne al colon e ingorghi alle arterie.

Forse è vero che ogni età ha le sue letture e “classici” sono quei testi che superano il gap delle stagioni umane, parlando al fanciullo come al vegliardo. Quasi quasi mi rileggo Omero: magari ci trovo qualcosa sull’alopecia che mi era sfuggito.

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