Chiavi in mano

S’io fossi un pittore, o un fotografo, o chiunque altro ma dotato di un decente, se non pronunciato talento visivo andrei in cerca, per rappresentare e in qualche modo fissare le nostre vite in un’immagine sulla quale, oggi, riflettere e, domani, i posteri possano interpretare i nostri tempi, andrei in cerca, dicevo, di una persona - uomo o donna, ma forse meglio donna - con in mano le chiavi dell’automobile. Dico questo perché, frequentando i treni locali, mi capita di incontrare con una certa frequenza persone - e spessissimo sono donne - che al rallentamento del convoglio presso la stazione già avanzano verso l’area di uscita protendendo, come una minuscola lancia, la chiave del veicolo che li attende nel parcheggio. C’è un’urgenza, un’aria di conquista, ma anche di preventiva rassegnazione verso il tempo che fugge, da far ridere e commuovere insieme.

Se ci fate caso, la chiave tende a spingere la mano in avanti, come fosse dotata di energia interna. È la stessa “corrente” che anima la bacchetta del rabdomante: punta al lontano cruscotto, animata da un’attrazione quasi sessuale, dal desiderio - e dalla necessità - di compiere l’atto, risolvere la tensione, “portare a casa” il corpo.

Così almeno mi piace pensare. Ma in realtà il gesto di anticipare l’estrazione della chiave per non perdere, nel parcheggio, neppure in secondo frugando nella borsa o nelle tasche, è indicativa soprattutto del modo in cui viviamo: sempre un passo indietro al giorno, sempre con la necessità di ricorrere a stratagemmi per convincere, non tanto il tempo, che rimane indifferente, quanto noi stessi della possibilità finale di acchiapparlo, domarlo, metterlo a frutto senza che, prepotente e implacabile, finisca per trascinarci alla deriva.

Ecco allora come sarebbe il dipinto (o la foto) di cui dicevamo: il corpo di un naufrago riverso sulla spiaggia, i lunghi capelli imbrattati di sabbia, le chiavi della macchina strette in mano.

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