Civiltà in pigiama

C’è un tipo di notizie che va sotto la definizione di “curiosità” perché perfino quella di “costume” è troppo impegnativa, alludendo, come fa, a qualcosa di socialmente rilevante e non a una bizzarria isolata.

Dunque, nei giorni scorsi, tra le notizie “curiose” è passata quella delle lamentele inoltrate alla catena di supermercati Tesco, la più estesa del Regno Unito, per la presenza, in alcuni punti vendita, di clienti in pigiama o in vestaglia. Qualcuno si è preso la briga di inviare alla Tesco una fotografia, poi arrivata ai media, in cui si vedono, di spalle, due signore spingere fianco a fianco il carrello (per la precisione, una regge un cestino): entrambe indossano pigiama e accappatoio e, ai piedi, calzano le ciabatte. «Disgustoso», il commento di chi ha presentato la protesta: un’opinione condivisa, in Rete, da molti. La Tesco ha minimizzato, dicendo che si tratta di casi isolati, ma qualcuno insiste: sempre più persone non esitano ad andare al supermercato in pigiama, troppo pigre per vestirsi regolarmente in vista di un’incombenza all’apparenza così banale.

Non credo che in Italia ci siano rischi: qui, se vogliamo, l’abito fa ancora il monaco e ci teniamo ad apparire, se non eleganti, almeno a posto. Che poi questo “a posto” lasci spazio a tanto cattivo gusto, è vero: si tratta però di un cattivo gusto firmato, coordinato e quasi sempre costoso.

Se dunque siamo al riparo delle parate in pigiama, dovremmo però preoccuparci di ciò che, altrove, le provoca e che coinvolge anche noi. Parlo di quel senso di confusione tra pubblico e privato, tra fuori e dentro, tra formale e casual che ci caratterizza. Collegati in continuazione alla Rete è come se fossimo sempre “fuori”, ma allo stesso come se questa presenza pubblica fosse anche domestica, indifferente a ciò che potremmo chiamare apparenza se non fosse il primo, fondamentale strato del rispetto reciproco. Ma forse, ormai, la nostra è una civiltà in pigiama. E precede di un passo quella in mutande.

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