Cocci

Cocci

Alla terza o quarta paginata di percentuali, la coscienza incomincia a sbandare. E la mente a credere in qualcosa di sorprendente: che la società sia effettivamente un cento per cento suddivisibile in parziali i quali, eventualmente incollati come si farebbe con i cocci di un vaso, rappresenterebbero di conseguenza l’insieme nella sua interezza. Naturalmente, specie dopo le elezioni, nessuno ha interesse a rimettere insieme un bel niente. Al contrario, tutti si affannano ad analizzare il singolo coccio, quello più grosso ma anche quello più piccolo, quello che ci si aspettava fosse grosso e invece è diventato minuscolo, quello che nessuno sapeva come fosse in realtà e lo si è scoperto più grosso (o più piccolo) del previsto.

Ognuno, votando per l’una o l’altra lista, si sente vincitore o sconfitto e se ne va in giro con la sua percentuale stampata sulla fronte: sorridono beati i 35%, ma anche, a seconda delle circostanze, i 10 e gli 8%, e si può essere mogi con un 15%, se è per questo, specie quando si era abituati a essere un 25%. Chi ha vinto si trova di colpo in sintonia con l’umanità: la percepisce gradevole, ama le chiacchiere, scambia volentieri due battute di spirito. Chi ha perso, ridotto a coccio piccolo, è invece pieno di risentimento: «Ma come?» pensa, «Come è possibile che mi si consideri soltanto un 2,29%? Ho forse la faccia di un 2,29, io?» Il peggio accade quando lo sconfitto incontra il vittorioso: «Guarda quello» mormora a denti stretti, «Dimmi te se ha la faccia di un 28%! Quello al 28% non ha neanche la ricrescita delle unghie».

In questo mondo fatto a parziali ci aggireremo per qualche giorno ancora, o forse per qualche anno addirittura, senza mai pensare, per un minuto, a quale percentuale ci spetta la sera, una volta chiusa alle nostre spalle la porta di casa: cocci senza intero, da zero a cento, e niente ballottaggio.

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