Viaggiare mi rende felice per svariate ragioni, non ultima quella di sgraffignare le penne in albergo, ma una, tra le più semplici, devo qui sottolinearla con particolare enfasi. Si tratta del primo rito del mattino (beh, il secondo forse...): la colazione. Nonostante, a casa, mi sforzi di non rinunciare a questo appuntamento e, ogni giorno, cerchi di accordarvi la giusta dose di tempo e partecipazione, non riesco mai a ottenere la stessa sensazione di appagamento che si manifesta in me quando, con gli altri ospiti dell'albergo, mi affollo al buffet. Nel calderone di nazionalità che ribolle in questi consessi è ben difficile che una persona rivolga la parola a qualcuno che non appartiene alla sua stretta cerchia di viaggio, sia dunque un parente, un amico, un collega o, nel più romantico dei casi, un'amante, eppure nel girovagare attorno al banco dei croissant, nell'attendere alla preparazione di un toast e nel decidere se, per avventura, si vuole incominciare la giornata con un assaggio di sushi o di noodles alla cinese, si avverte una sorta di fratellanza digestiva, di comunione gastrica sempre molto rassicurante.
Nelle facce ancora un poco sgomente del mattino, leggo non alterigia ma, semmai, ritrosia, non aggressività, ma desiderio di pace. Cultura, abitudine e tradizioni già ci dividono tra chi prende il caffè e chi si butta sul tè oolong, tra chi sbadila nel piatto mezzo chilo di uova strapazzate con due chilometri di bacon e chi preferisce il vecchio rito della spalmatura di burro e marmellata. Eppure, in tutti, c'è la stessa esigenza: incominciare decentemente la giornata. Il che vuol dir farlo con qualcosa di confortevole, di soddisfacente; con qualcosa che infonda benessere e, magari, soddisfi un piccolo desiderio goloso. Tutto il resto della giornata lavoriamo per allontanarci da questo momento quando, invece, dovremmo scuoterci dal torpore del mattino e ammettere che, in fondo, proprio in questo sta il bello dell'umanità.
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