Mettiamo in chiaro una cosa: chi usa l’espressione “al collasso” è un imbecille. Su altre locuzioni idiote (come “buonista”, “nostro territorio”, “nel mirino”, “giro di vite” e “incredibile” al posto di “sorprendente”) qualcuno (non io) sembra disposto a trattare, ma per “ al collasso” è il caso di tracciare un confine netto: chi la usa sta dalla parte degli stolti, chi si astiene ha qualche speranza di salvezza.
L’unico merito dell’espressione, se vogliamo, è proprio quello di denunciare la pochezza verbale di chi la sfrutta, ovvero il “collasso” delle sue facoltà cerebrali e il conseguente cedimento a una disonestà intellettuale irremissibile.
Definire qualcosa “al collasso” equivale a squadernare una denuncia imprecisa, vasta ma vaga e, come tale, quasi certamente falsa. Uffici al collasso, scuole al collasso, città al collasso (è stato detto in tv a proposito di Como!), partiti al collasso, governi al collasso, continenti al collasso: in ognuno di questi ricorrenti cliché s’annida un rigurgito di allarmismo disinformato, la pretesa di dipingere un quadro apocalittico con una matita spuntata, la vaghezza di chi vorrebbe farsi passare per intrepido portatore del vero e invece, sotto sotto, sa benissimo di essere un cialtrone seduto sul baricentro ottuso del suo sederone ruminante.
Parrà eccessivo, questo sfogo: lo è, e volutamente. Vorrebbe essere una reazione alla sciatteria che piano piano va permettendo al linguaggio sclerotico dei commenti online, al rozzo sarcasmo di certe polemiche da quattro soldi e all’invettiva “copia e incolla” del pseudo-opinionismo da forum di prendere il sopravvento sul nostro modo di ragionare e di affrontare le questioni importanti.
Gridare “al collasso” per qualunque problema non serve a risolverlo: invece di rivelarne le cause, le nasconde sotto una coltre di puerile qualunquismo, invece di aiutare qualche povera anima afflitta la sommerge di pelosa ipocrisia. E, perdipiù, l’imbecille “collassista” si convince di aver salvato il mondo.
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