Colpa della pistola

Nella molto triste vicenda di Oscar Pistorius che spara e uccide la fidanzata Reeva Steenkamp ci sono talmente sfaccettature da assicurare ai media materiale per mesi e mesi di considerazioni, reportage e commenti. C’è chi incolperà l’atleta e chi crederà invece alla versione da lui riferita alla polizia: «Ho sparato credendo si trattasse di un ladro». In altre parole, alcuni daranno la colpa dell’accaduto a un uomo che credevamo un eroe e si è rivelato un assassino (e che forse è entrambe le cose) mentre altri indicheranno la fatalità, il destino, quella malevola inclinazione del caso che fa capitare cose orribili, sgradevoli o inopportune, come la voce di non pochi dei cantanti di Sanremo.

Nessuno, credo, darà la colpa alla pistola. Questo perché la pistola è uno strumento e non si giudicano gli strumenti per l’uso che ne viene fatto: il silicone è un materiale utile e non è responsabile se, oltre a sigillare la doccia, viene usato per gonfiare la personalità.

Vorrei riempire questo vuoto e dire, con sprezzo del ridicolo, che per me la colpa è tutta della pistola. Non di quella pistola in particolare ma di tutte le pistole in generale, figlie di una malintesa cultura della difesa privata che, lungi dall’accompagnarsi a una visione di libertà individuale, è invece il feticcio di una moderna e vagamente ammalata fascinazione per la violenza. Non vorrei passare per una sorta di pacifista ingenuo fino alla stupidità, né mi sogno di auspicare un mondo dove le fabbriche di armi vengano convertite in laboratori per la produzione di meringhe (per quanto l’umanità ci guadagnerebbe parecchio): dico solo che le pistole possono al massimo essere un male qualche volta inevitabile. Fateci caso: coloro che sostengono il contrario sono quasi sempre individui ai quali non consegneremmo un’arma per niente al mondo. Le persone a cui non avremmo problemi ad affidare fosse anche un cannone, sono invece le prime a non volerne sentire parlare. Vorrà pur dire qualcosa.

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