Come i pirati

Possiamo chiamarla “Authority” oppure “Rete di organismi nazionali indipendenti” ma, sotto il cerone, c’è sempre e soltanto la censura. Ora, combattere la circolazione delle notizie false in Rete introducendo la censura comporterebbe, per coerenza, la necessità di ripristinare altri severi istituti come il Minculpop, la deportazione per motivi politici e il linciaggio, magari in esecuzione di verdetti emessi da vivaci “giurie popolari”.

Resta il fatto che il fenomeno delle “bufale” non è, in sé, una “bufala”: è anzi diffuso e pericoloso, pervicace e allarmante. Coloro che, giustamente, si rifiutano di affrontarlo rimettendo in servizio la censura, dovrebbero almeno riconoscere che chi falsifica informazioni va in qualche modo richiamato alle sue responsabilità.

Ieri la Cassazione ha detto che i siti, anche non professionali (ovvero non strettamente giornalistici) sono responsabili per i commenti lasciati dai lettori. Mi sembra un passo nella giusta direzione: dietro a ogni parola pronunciata, a ogni notizia diffusa, ci deve essere un nome pronto a risponderne. Lasciamo la necessità dell’anonimato a quei popoli che sul serio vivono sotto la minaccia del terrore poliziesco.

Mentre rispondiamo delle nostre idee, così come degli insulti che ci capita di dispensare e, occasionalmente, delle cazzate che non ci riesce di trattenere, potremmo incominciare, tutti insieme, a sviluppare un lento processo sociale al termine del quale ci troveremmo ad aver innalzato un tabù: quello che ci vieterebbe, in qualità di cittadini, di raccogliere e diffondere notizie false, sia per calcolo malevolo sia per semplice inclinazione al pettegolezzo.

Pena per chi lo infrange, non tanto la denuncia in Procura, quanto la vergogna sociale, direi perfino l’infamia, la stessa che adesso tocca, più o meno, ai pirati della strada. Ai quali i falsari di notizie assomigliano in tutto per tutto: travolgono la verità e scappano senza lasciar traccia.

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