Comitato permanente

Una cosa val la pena di sottolineare a proposito del G8 di Lough Erne, Irlanda: è venuto benissimo in fotografia. Non che sia una prerogativa di questo G8 in particolare: tutti i G8 hanno dimostrato una certa affinità con l’obiettivo. Mentre fuori accade il finimondo o, in alternativa, regna la più assoluta indifferenza, i “grandi” del mondo, schierati fianco a fianco, si trasmettono autorevolezza l’un con l’altro e, disinvolti, sorridono per una foto che finirà per un giorno nei giornali e per anni sui loro caminetti.

Il G8, del resto, è al massimo un pigiama-party molto esclusivo. A giudicare dall’elenco dei leader di quest’anno, non mi pare possa essere stato uno sballo. Mancava un protagonista, e noi tutti sappiamo chi. Ai tempi suoi, era l’anima della festa: portava le fialette puzzolenti, faceva il sacco al letto della Merkel, raccontava a Obama la barzelletta «del negro, dell’ebreo e dell’arabo col cammello» e, alla fine della sessione quotidiana, poneva all’ordine del giorno sempre la stessa mozione: «Ragazzi, che cosa si fa stasera?»

Mancando lui, credo che gli Otto si siano annoiati parecchio. Non mi vedo Hollande a raccontare storielle divertenti o Cameron a farsi sorprendere con una sigaretta nel bagno. In più, la sera nell’Ulster i pub chiudono presto, la tv trasmette in irlandese - lingua ostica perfino per gli irlandesi - e gli sport locali, pur affascinanti, vanno dall’hurling al football gaelico.

Quanto al resto, al fatto che il G8 produca qualcosa di concreto e influisca in modo benigno sulle nostre esistenze, non mi farei illusioni: la politica, più sale di livello, più diventa eterea, fatta di proclami, impegni generici e, appunto, fotografie di rito.

Contano di più, e fanno la differenza, le decisioni che noi comuni prendiamo ogni giorno. Per questa ragione, tenuto conto degli ultimi dati sulla popolazione mondiale, dovremmo comportarci come se, in sessione permanente, fosse riunito un G7.123.843.471.

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