Ne devono accadere di cose brutte, dalle nostre parti, se l’espressione “condanna unanime”, inserita in Google, ottiene - in 0,25 secondi - 725.000 risultati. Si condanna unanimemente pressoché tutto: dagli insulti dei 5Stelle al ministro Boschi all’imbrattamento di un pallone della Juventus da parte di alcuni “sportivi” un poco irruenti.
“Condanna unanime” è un’espressione che, nella vita, nessuno sano di mente usa. Non perché gli manchi il desiderio di condannare i comportamenti inaccettabili (siano essi violenti, volgari o intolleranti e capita che ce ne siano alcuni capaci di unire le tre cose), quanto perché, nel linguaggio comune, non “viene” da pronunciare queste parole. Una delle ragioni è che il cittadino semplice non sa se la “condanna” è davvero “unanime”: per quanto ne sa lui, potrebbe esserlo come potrebbe non esserlo. Giornali e televisioni sono invece sicuri: la condanna è unanime, ovvero senza esitazioni e defezioni. Senza dubbio lo è, sotto un certo punto di vista: la condanna è infatti unanime tra coloro con cui i giornali parlano e che, pertanto, considerano rappresentativi del tutto. In politica, se i partiti dicono la stessa cosa allora la posizione è unanime. In tutto il resto dello scibile, se un po’ di persone hanno la stessa opinione allora sarà sbrigativo ed efficace proclamare che viene sostenuta all’unanimità.
Questa espressione, come tanti altri luoghi comuni giornalistici, è in realtà in codice. Stabilisce una sorta di correttezza universale a suo modo rassicurante e virtuosa. Guai a chi si muove, perché rompere l’unanimità della condanna equivale a scatenare l’inferno, ovvero un tiro incrociato di invettive, polemiche, insulti e ironie. Ma un difetto, nella “condanna unanime”, c’è: essa è muta, nessuno si prende la briga di spiegarcela. Eppure servirebbe tanto, chiarire, elaborare, approfondire: anche sulle “condanne” più ovvie, più lampanti e per questo tanto più necessarie. È l’unico modo per formare e difendere i valori: le formule vuote, invece, li distruggono.
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