Ci deve essere qualcosa di sbagliato in questo Paese se uno come me - e non credo di essere il solo - sente suo malgrado nostalgia per un professore rapace come la peste, noioso come un programma di RaiEdu e dinamico come uno scaffale del Catasto.
Ci deve essere qualcosa di molto sbagliato nel Paese se, all'annunciato ritorno della politica (leggi, in teoria, della democrazia), metà dei suoi abitanti piange quasi avesse perso un parente e l'altra metà esulta come a un gol in fuorigioco. A questi vorrei ricordare il collettivo sospiro di sollievo tirato all'incirca un anno fa quando, sottratta la nave agli Schettino del governo e del Parlamento, il suddetto professore, meno pittoresco ma più concreto, evitò che finisse contro gli scogli. L'ipotesi di restituire i comandi ai medesimi timonieri, cambusieri, ammiragli col pennacchio, mozzi con la lisca, macchinisti strabici, valligiani col salvagente e cocottes di bordo, mi sembra oggi un tantino bizzarra ma tant'è: è la democrazia, bellezza, e il popolo ha il diritto di scegliere. Peccato non scelga un accidente: scelgono i partiti, compresi quelli nuovi e perfino quelli che fanno le primarie.
Ci deve proprio essere qualcosa di sbagliato se uno come me - e qui mi considero solo - all'idea di andare a votare sente alcuni organi interni rivoltarsi come ballerini di Maria De Filippi. Uno dovrebbe compiacersi di consegnare al Paese il suo piccolo contributo alla democrazia, quella crocetta fatta in nome della partecipazione. Non può se, come accadrà, la sua piccola offerta, fatta in onestà e in assoluta buonafede, verrà arraffata, sporcata, ingurgitata, sfruttata e distorta senza pietà. Perfino rinunciare, astenersi, girarsi dall'altra parte, è diventato inutile: anche l'immobilità verrà interpretata dagli strateghi di corte a seconda delle convenienze.
Non resta dunque che congedarsi dal professore. Con un ombra di rimpianto di cui, dati miei precedenti di cattivo scolaro, sono il primo a stupirmi.
Ci deve essere qualcosa di molto sbagliato nel Paese se, all'annunciato ritorno della politica (leggi, in teoria, della democrazia), metà dei suoi abitanti piange quasi avesse perso un parente e l'altra metà esulta come a un gol in fuorigioco. A questi vorrei ricordare il collettivo sospiro di sollievo tirato all'incirca un anno fa quando, sottratta la nave agli Schettino del governo e del Parlamento, il suddetto professore, meno pittoresco ma più concreto, evitò che finisse contro gli scogli. L'ipotesi di restituire i comandi ai medesimi timonieri, cambusieri, ammiragli col pennacchio, mozzi con la lisca, macchinisti strabici, valligiani col salvagente e cocottes di bordo, mi sembra oggi un tantino bizzarra ma tant'è: è la democrazia, bellezza, e il popolo ha il diritto di scegliere. Peccato non scelga un accidente: scelgono i partiti, compresi quelli nuovi e perfino quelli che fanno le primarie.
Ci deve proprio essere qualcosa di sbagliato se uno come me - e qui mi considero solo - all'idea di andare a votare sente alcuni organi interni rivoltarsi come ballerini di Maria De Filippi. Uno dovrebbe compiacersi di consegnare al Paese il suo piccolo contributo alla democrazia, quella crocetta fatta in nome della partecipazione. Non può se, come accadrà, la sua piccola offerta, fatta in onestà e in assoluta buonafede, verrà arraffata, sporcata, ingurgitata, sfruttata e distorta senza pietà. Perfino rinunciare, astenersi, girarsi dall'altra parte, è diventato inutile: anche l'immobilità verrà interpretata dagli strateghi di corte a seconda delle convenienze.
Non resta dunque che congedarsi dal professore. Con un ombra di rimpianto di cui, dati miei precedenti di cattivo scolaro, sono il primo a stupirmi.
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