Quando tutto sembra perduto e si ha l’impressione che il nostro piccolo ma singolare Paese vada a spegnersi in un ultimo singulto di scilipotismo, nell’invettiva del solito cretino con licenza di urlare o nel furto dell’ultima risorsa disponibile da parte dell’ultimo ladro arrivato in ritardo, ecco che salta fuori come, in realtà, siamo straordinari.
Lo dico perché è vero. Tutto ci si aspettava da un’Italia in queste condizioni tranne che, dal fondo della crisi e dall’agonia dei palinsesti che propongono solo deprimenti talk show arrotolati su se stessi, trovasse la forza di invadere lo spazio.
Invece, è proprio così. Lo scrivono i giornali, quindi deve essere vero (non come se lo dicesse un fesso qualunque su un blog come questo, ma insomma). L’invasione italiana dello spazio inizia con l’arrivo, nel prossimo novembre, dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti sulla Stazione Internazionale in orbita intorno alla terra. Con sé, Samantha porterà nello spazio una novità: del cibo vero.
Ci hanno abituato a pensare all’alimentazione degli scienziati come a una faccenda prettamente scientifica: roba liofilizzata, pappette caloriche, porzioni in pillola. Difficilmente potevamo credere che gli angusti spazi di una stazione orbitante potessero riempirsi, all’improvviso, di aromi familiari: un buon ragù, per esempio, o il profumo della pasta e fagioli. Dobbiamo ricrederci: con Samantha arriverà nello spazio il vero cibo italiano quello, tra l’altro, approvato da Slow Food: «La piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di carpino e il cece nero della Murgia carsica».
Avanguardie gastronomiche, per così dire, perché la speranza, naturalmente, è che presto la Via Lattea (latte di mucche alpine, si capisce) sarà inondata di zamponi, pizzoccheri, olive taggiasche, pistacchi di Bronte, pecorino romano, pomodori di Pachino, parmigiano reggiano e bonarda dell’Oltrepò. Profumi celestiali, sapori dell’altro mondo e conto stellare. Perfetto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA