Montaigne, nei suoi “Saggi”, dedica un intero capitolo al tema della “consuetudine”: “Essa ci mette addosso poco a poco, senza parere, il piede della sua autorità; ma da questo dolce e umile inizio, rafforzato e ben piantato che l'ha con l'aiuto del tempo, essa ci rivela in breve un volto furioso e tirannico”.
Non so se sia del tutto legittimo paragonare e anzi sovrapporre la “consuetudine” all'“abitudine” o addirittura alla “dipendenza”, ma le parole di Montaigne mi sono tornate alla mente dopo aver visto l'estratto di un libro fotografico pubblicato di recente e firmato da Tony Fouhse. Il libro, intitolato “Live through this” (Sopravvivere a questo), segue passo passo la lotta con l'eroina della giovane tossicomane canadese Stephanie. Decisa, o forse no, a superare la sua dipendenza per la droga, la ragazza accetta l'ospitalità di Tony e della moglie con l'intesa che ogni suo sforzo (ed eventuale fallimento) venga documentato dalla macchina fotografica. Il percorso, durissimo, ha esito positivo ma conosce momenti drammatici come l'operazione che Stephanie deve subire per la rimozione di un ascesso cerebrale causato dalle continue iniezioni.
La pur limitata galleria fotografica diffusa a promozione del libro offre emozioni ad altissima intensità. Personalmente, dopo aver assistito in modo così scarno e oggettivo a ciò che una dipendenza può fare a una persona in possesso di ragionevoli speranze di serenità se non addirittura di felicità, ho avvertito potente la spinta a tenermi lontano da qualunque forma di abitudine, ho sentito sulla pelle il rifiuto per ogni azione quotidiana che, invece di essere dettata dalla ragione, venga a noi sotto forma di routine, vezzo, puerile autogratificazione.
Alla fine del viaggio, restituita a se stessa e felice della sua nuova vita, Stephanie scrive: “So che è sbagliato dirlo, ma i vecchi tempi un po' mi mancano”. Ecco quanto può essere pericolosa un'abitudine.
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