Ogni volta, uno scuote la testa incredulo. Eppure, ogni volta ci sarebbe da aspettarselo. Dico questo perché la celeberrima fotografia del povero bimbo (Aylan o Alan) morto su una spiaggia in Turchia ha generato l’inevitabile corrente dei negazionisti. Non è vero niente, ci sono le prove, è una montatura, vogliono farvi credere, basta guardare l’ombra sulla destra per capire che è opera di Photoshop, c’è lo scatto di un fotografo ceceno poi misteriosamente scomparso che dimostra contemporaneamente come la foto sia falsa e Cristoforo Colombo non sia mai sbarcato a San Salvador.
Il negazionismo è una curiosa malattia che si sviluppa nel brodo di coltura della democrazia. Chi giustamente apre la porta alle opinioni deve prepararsi a sentirne di tutti i colori. A Londra sopravvive la tradizione dell’Hyde Park Corner, dove chiunque può salire su una cassetta della frutta e sostenere l’insostenibile: la Regina è una marziana, l’Apocalisse inizierà dopo il weekend, i dischi di Justin Bieber sono prodotto del demonio (in questo ultimo caso c’è forse del vero). Il passante londinese può divertirsi a sentire qualche sproloquio, si fa una risata, e quando è soddisfatto se ne va al pub per una mezza pinta di shandy.
Il negazionismo 2.0 è invece più insinuante perché libero di scorrazzare sulle autostrade di Internet. Oggi i negazionisti negano su più fronti: abbiamo detto di Aylan, poi naturalmente c’è l’Olocausto - un po’ la madre di tutti i negazionismi -, l’uomo sulla Luna, le Torri Gemelle, Elvis Presley e la bomba atomica. Tutto questo sarebbe perlopiù ridicolo, colpevole al massimo di cattivo gusto, se non fosse pericoloso. Lo siocchezzaio negazionista si mescola infatti alla coscienza critica dei cittadini, alla seria vigilanza dell’opinione pubblica, confondendole e minandone l’efficacia. Forse sarebbe il caso di organizzare un Convegno mondiale dei negazionisti: finirebbero per negare la loro stessa esistenza e libererebbero il mondo della loro infantile paranoia.
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