Corpo lontano

Un tempo li si chiamava «espedienti» e chi di essi viveva era per definizione un individuo ai margini: solo parzialmente dannoso, perfino simpatico, ma certo con scarse possibilità di venire nominato Cavaliere del Lavoro, onorificenza che, come si sa, viene assegnata esclusivamente alle persone oneste. In seguito, la definizione «espedienti» è tramontata, ammessa all’archivio di un italiano ormai desueto, troppo ricercato e complesso per la sbrigativa modernità. È diventato comune parlare, invece, di «talento» e il «talento», secondo l’attuale sensibilità, è qualcosa di magico, un dono impalpabile e divino che permette a chi ne dispone di assurgere al successo e alla fama praticamente senza sforzo.

Potrei sbagliarmi, e anche di grosso, ma stiamo forse approdando a una terza mutazione del concetto alla quale, per ora, non siamo riusciti a dare un nome. Si manifesta, la mutazione, nell’ammirato stupore con cui assistiamo alle prodezze di chi ha conservato una certa abilità manuale che riesce poi ad associare all’ inventiva. Un tempo non avremmo esitato a definirli «espedienti», fino a ieri si sarebbe parlato di «talenti»: oggi sono video caricati su Facebook, YouTube, o Twitter; di preferenza, su tutti e tre.

«Guardate qui: è fantastico!» scriviamo invitando gli “amici” allo spettacolo di un tale che sorbisce limonata dal naso, oppure modula i primi versi del “Paradiso perduto” con un rutto. Altrettanta ammirazione per chi, con le mani, dalla materia informe cava qualcosa di definito: un origami, una scultura di plastilina, il disegno di un tale che sorbisce limonata dal naso.

Non nego che alcune di queste esibizioni siano notevoli e che meritino tutta la meraviglia di cui siamo capaci: in controluce, però, si intravede la distanza che andiamo prendendo dal corpo il quale, se non è impegnato in esercizi di resistenza o velocità, non sembra più sapere che cosa fare di se stesso. E allora sbadiglia, si gratta, accende il computer.

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