Pare proprio che qualcuno abbia ancora voglia di costruire. Il che, a pensarci, è rimarchevole.
Tanto per incominciare, «costruire» è un verbo bellissimo. Andiamo a esplorarlo sulla Treccani: «1. a. Fabbricare edifici; comporre una macchina e sim. con l’unione delle parti convenientemente disposte. b. fig. Mettere insieme pezzo per pezzo, oppure fondare, creare e sim. In matematica, determinare una grandezza o un ente, a partire da altri, attraverso una serie di operazioni o, concretamente, mediante il disegno geometrico».
Come si vede, il verbo si applica tanto alla concretezza dei mattoni e dell’acciaio quanto all’astrazione dei numeri e delle forme geometriche. Non lo si usa spesso, purtroppo, parlando di opere d’arte ma è un errore: si costruisce un libro, un film o un quadro esattamente come si costruirebbe una casa o una ferrovia, ovvero con metodo e pazienza. Peggio ancora, oggi lo si associa a circostanze negative: edifici costruiti male, città costruite troppo, strade costruite indecentemente e, in politica, alleanze costruite sul nulla.
La spinta primigenia al costruire ha in sé qualcosa di purissimo. A ricordarcelo, una notizia tratta dal notiziario economico dell’Ansa: «Lego ha visto aumentare i ricavi nella prima metà del 2016 a circa 2,1 miliardi di euro. Ad aumentare non sono stati solo i bambini che giocano con i Lego. Grazie all’apertura di una fabbrica in Cina e l’ampliamento di un impianto in Messico salgono anche i dipendenti del gruppo».
In una stagione tecnologica in cui l’informatica sembra poter offrire qualunque esperienza sensoriale, i bambini rispondono con entusiasmo allo stimolo del mettere un mattoncino del Lego sull’altro. Questo, credo, li riempie della sensazione di aver “fatto” qualcosa, invece di essersi solo distratti con il computer o la tv. E fare qualcosa ancora dà loro soddisfazione e risponde a un istinto vitale che - speriamo - sapranno conservare anche quando, da adulti, in tanti li bombarderanno con subdoli inviti a distruggere.
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