Creativi un corno

E’ nata all'uso corrente e ricorrente, se non ricordo male, negli anni Ottanta: da allora è stato un continuo. La si è pronunciata, ripronunciata e riformata: la parola "creatività" ha generato "creativo" e con esso uno stile e, se si vuole, una cultura. Personalmente, credo che sarebbe il caso di metterla a riposo, almeno per un certo periodo, e ripensarla alle fondamenta.

L'opinione è tutta mia ma, per una volta, si basa su qualche cosa di solido. Sì, perché mentre della "creatività" si fa spesso una bandiera, quasi una parola d'ordine per la soluzione di ogni cosa (dalla crisi ai rapporti di coppia, dalla cucina al tempo libero), in realtà stiamo parlando di una chimera, o poco ci manca.

Un sondaggio mondiale condotto sul concetto di "creatività" ha portato a risultati interessanti. Innanzitutto, che si tratta di qualcosa di molto pregiato: circa l'80 per cento delle persone ritiene sia essenziale allo sviluppo economico e due terzi pensano che, più in generale, essa apporti un contributo positivo alla società.  L'entusiasmo scema quando si passa al rapporto tra individuo e creatività. Solo uno su quattro è convinto di poter esprimere tutto il suo potenziale creativo. Il 75 per cento delle persone afferma che, al lavoro, è loro richiesto di essere più efficienti che creativi. C'è anche un dato su quali nazioni vengono globalmente percepite come "le più creative": vincono, a mani basse, Giappone e Stati Uniti. Nonostante le tante illusioni sul "genio italico", noi non siamo neppure in classifica, diluiti in un 6 per cento di "altre nazioni" che seguono, dopo la coppia leader, anche Germania, Francia e Gran Bretagna.

Dunque, la "creatività" è una chimera. Ovunque nel mondo, in particolare da noi. Azzardo: forse ne abbiamo un concetto sbagliato. La immaginiamo come una scorciatoia per evadere dal labirinto delle nostre frustrazioni. Sbagliato: essere creativi comporta genio ma anche preparazione e disciplina. Insomma, la creatività è una cosa seria. Farà per noi?

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