Non so chi abbia avuto, in origine, l’idea che (quasi) ogni cosa in Rete dovesse offrire spazio ai commenti dei “navigatori”, ma mi auguro che adesso, in calce al suo profilo Facebook o vattelapesca, ci sia la gente in coda per dargli del cretino. Probabilmente credeva di fare una cosa buona, di offrire nuove possibilità al confronto e allo scambio di idee; magari pensava che grazie a lui - o a lei: non lo sappiamo (ma io penso a un lui e credo di non sbagliare) - la democrazia sarebbe entrata in una fase di significativo sviluppo, che i problemi di intermediazione della rappresentanza sarebbero stati definitivamente risolti. Già.
Purtroppo, le persone che si alzano la mattina convinte di fare del bene sono pericolosissime. Molto meglio dedicarsi a fare qualcosa di utile: l’utilità di un prodotto o di un’azione rientra in parametri quasi oggettivi, comunque passibili di riscontro e pertanto le possibilità che tutto finisca in un completo disastro si riducono significativamente, diciamo del 2 o 3 per cento.
Mi sembra di poter dire che del commento libero stiamo abusando, non tanto per la frequenza con cui lo usiamo e per i toni truci che moltissimi adottano nei loro interventi pubblici, ma per l’invadenza psicologica che attribuiamo a questi svolazzi spesso volgari, aggiunti a pensieri i quali, tanto per cominciare, già non sono tali da mettere in difficoltà l’intelletto di un Kant o di un Einstein.
Proprio pensando al primo, mi chiedevo che cosa sarebbe successo se invece di aver pubblicato la “Critica della ragion pura” in ponderosi volumi l’avesse buttata là in un blog o magari, a puntate, su Facebook o Instagram, tra un selfie scattato durante una passeggiata a Könisberg e l’emoji con il cervello che scoppia: immagino che, sotto, si sarebbe aperta una voragine di commenti sarcastici, di inviti a «pensare di più alla f...» oltre a un assortimento di gif intese a esprimere le reazioni più disparate, dal disgusto all’ammirazione, l’immancabile link di quello che vende i Ray-Ban, l’annuncio di un seminario sulla meditazione trascendentale, qualche cuoricino a caso e, naturalmente, il commento «e allora il DP?» (Demokratische Partei).
A questo punto il povero Immanuel avrebbe lasciato perdere tutto quanto e, riposte le sudate carte, si sarebbe arreso, unendosi a un colorito gregge che né con la ragione né con la legge morale avrebbe mai potuto contenere o elevare.
Non che con questo mi passi per la testa di sostenere l’abolizione dei commenti online: bisognerebbe però imparare a distanziarsi emotivamente da essi. Colpiscono, certo, perché offrono una misura statistica piuttosto attendibile dell’esagerato numero di cretini che ci circonda. Ma davvero è una sorpresa? Non è che tutti, chi più e chi meno, ogni tanto cadiamo nella trappola della “bêtise”, un tratto umano che ci unisce ancor più strettamente del genoma? Maturare la convinzione che una certa tara di stupidità è congenita alla nostra natura forse potrebbe aiutarci a sdrammatizzare e a concentrarci sui fenomeni davvero pericolosi che la Rete ospita e amplifica. Questa costante indignazione per il Cretino Connesso, per il Troglodita 2.0, non so quanto aiuti. Ignorato e isolato lui, si finirebbe per rendere meno pericoloso anche chi ne sfrutta a fondo l’irruente ignoranza.
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